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Luciano di Samosata e i primi viaggi spaziali

Luciano di Samosata (Λουκιανός ὁ Σαμοσατεύς), scrittore, retore e filosofo siro di lingua greca, celebre per la sua arguzia e per la forte irriverenza dei suoi corrosivi scritti satirici, è stato uno dei più eclettici e poliedrici autori che caratterizzarono il II° secolo d.C., e specialmente il periodo della Seconda Sofistica. Vicino all’Epicureismo, ci ha lasciato delle opere fondamentali della letteratura romana imperiale, tra cui la Storia Vera, un racconto onirico-visionario e fantastico di viaggi al di là delle Colonne d’Ercole e addirittura nel cosmo, i Dialoghi degli Dei, i Dialoghi marini, i Dialoghi dei morti, i Dialoghi delle cortigiane, e il trattato Come si deve scrivere la storia, un’esortazione ad una storiografia fondata sull’obiettività e lontana da ogni forma di adulazione dei potenti. Le sue opere sono in genere caratterizzate da un sottile intento critico e da una marcata vena satirica nei confronti delle scuole ufficiali così come dei pregiudizi dell’opinione volgare.

Tra le sue tante attività, si dedicò anche alla raccolta di storie e leggende della tradizione greca ed orientale. Emblematico a riguardo è il suo trattato De Dea Syria, dedicato al sentimento religioso e ai culti della sua terra natia e incentrato sulla misteriosa figura della Dea Atargatis, molto venerata nelle provincie orientali dell’Impero. E a quanto pare fu lui a “creare” la figura di Filippide, il soldato greco che corse ad Atene dopo la battaglia di Maratona senza fermarsi per poter annunciare Nike! Nike!” (“Vittoria! Vittoria!”) e spirare subito dopo.

Luciano nacque intorno al 120 d.C. a Samosata (l’odierna Samsat, nella Turchia sud-orientale), un’antica e florida città della provincia romana della Siria, che vantava un passato da capitale dell’antico regno armeno-ellenistico di Commagene (caduto per mano di Vespasiano nel corso del I° secolo), in una modesta famiglia siriaca. Benché, con ogni probabilità, fosse di madrelingua siriaca (come al tempo lo era la maggioranza della popolazione locale), egli produsse tutto il corpus della propria opera in Greco, con la maggior parte dei propri scritti redatti in dialetto attico, alquanto in voga durante il periodo della Seconda Sofistica, rivolgendosi quindi essenzialmente ad un pubblico di lingua e cultura greca. Ciò nonostante, egli in vita non si definì mai “greco”, pur dimostrando tutta una serie di caratteristiche della propria personalità intellettuale indubbiamente ellenistiche, né tantomeno “romano”, e non rinnegò mai le proprie origini “barbare”; anzi, spesso e volentieri concentrò la propria invettiva satireggiante proprio sulle tante differenze ed aspetti contrapposti tra la sua cultura natía e quella greca e tra queste due e la nuova componente romano-latina.

Stando a quanto da egli stesso asserito in una sua orazione, Il Sogno, da giovane ebbe, seguendo la tradizione della famiglia materna, una breve e deludente esperienza nel laboratorio di scultura dello zio, dal quale il futuro scrittore fu cacciato dopo aver distrutto una lastra di marmo che doveva essere sgrossata. Scoperta dunque la propria vocazione letteraria, egli studiò presso i sofisti dell’epoca, nell’Asia Minore ionica, la grammatica e la retorica, assicurandosi una perfetta assimilazione della lingua Greca e dei principi culturali dell’Ellenismo.

Successivamente fece moltissimi viaggi, in qualità di maestro di retorica e conferenziere o come ambasciatore della sua città natale, in Asia Minore, Grecia, Italia e Gallia. Inoltre svolse l’attività di avvocato in Antiochia di Siria (155-158). Nel 159 fu inviato come ambasciatore a Roma, dove ebbe l’occasione di entrare in contatto con il filosofo medioplatonico Nigrino, da cui fu influenzato. Tornato nel 160 ad Antiochia, vi rimase fino al 162, pur recandosi talvolta in Grecia. Dal 173 al 176, in veste di segretario della Cancelleria imperiale, si trasferì in Egitto. Dopo questo incarico sappiamo che si stabilì definitivamente ad Atene, dove morì in una data imprecisata tra il 180 e il 192.

La Storia Vera (Ἀληθῆ διηγήματαì, Alēthê diēghémata, propriamente “Storie vere”), è l’opera più celebre di Luciano ed è considerata il suo capolavoro e al contempo uno dei testi più interessanti della letteratura greca di età romana imperiale. Si tratta di un’opera narrativa in due libri, un vero e proprio romanzo fantastico (è stato giudicato il primo romanzo di fantascienza della storia), con sorprendenti tratti ironici e parodistici, ma non per questo scevro di profondi contenuti mitici, simbolici e allegorici.

La stesura del testo viene ascritta all’ultima fase della produzione lucianea, attorno al 180 d.C. Potrebbe quindi essere di poco posteriore a una delle ultime opere di Luciano, Come si deve scrivere la storia, trattatello che denuncia l’eccessiva adulazione, piaggeria e falsità della storiografia imperiale a lui contemporanea. Agli storiografi intenti a scrivere una storia agiografica e scadente, più fantasiosa che altro, sulla guerra tra l’Imperatore Lucio Vero e Volgese III° di Armenia (162-165 d.C.), Luciano rispose per antifrasi umoristica, con un racconto intessuto di iperboliche gesta, fantastiche invenzioni, colossali menzogne, del tutto oneste, però, perché dichiarate come tali fin dal proemio. Bersaglio di Luciano non sono solo gli storiografi, ma anche gli scrittori di racconti fantastici, citati nel proemio: Ctesia di Cindo, Erodoto, Iambulo, e persino Omero, il cui Ulisse, a suo dire, si dimostra maestro nell’arte della cialtroneria. L’intento di Luciano non è quello di screditare tali autori, ma di mostrare che nell’invenzione fantastica, in letteratura, può non esserci alcun limite. E riesce a farlo in maniera esemplare, tanto che Luciano si può considerare il vero εὑρετὴς del romanzo fantastico, un genere che tanto seguito avrebbe avuto letteratura dei secoli successivi: dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto alle peripezie dei giganti Gargantua e Pantagruel dei romanzi di François Rabelais, dalle paradossali e incredibili Avventure del Barone di Münchhausen di Rudolf Erich Raspe ai Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. Per non parlare di Richard Adams Locke, con il suo capolavoro Delle scoperte fatte nella Luna del dottor Giovanni Herschel, del genio creativo di Jules Verne, autore di opere quali Dalla Terra alla Luna, Viaggio al centro della Terra e Ventimila leghe sotto i mari, o delle opere di Charles Nodier e Herbert George Wells. Anche se forse, ad aprire il filone, furono Dionisio di Mileto, con il suo Viaggio ad Atlantide (opera considerata perduta fino al 1962, poi fortuitamente ritrovata e, infine, nuovamente fatta scomparire in circostanze mai chiarite), Antonio Diogene, con Le incredibili meraviglie al di là di Tule, e Apollonio Rodio con le sue Argonautiche. Tre opere, queste, che molto probabilmente sono state per Luciano una preziosa fonte d’ispirazione.

Non a caso, tutti gli autori che abbiamo sopra elencato, senza eccezione alcuna, furono anche degli iniziati. E, nelle loro opere – come d’altronde avviene anche per Luciano -, il fantastico spesso si rivela, più che un genere letterario fine a se stesso, un mezzo, un vero e proprio strumento, per veicolare e comunicare precisi messaggi a chi detiene le corrette chiavi di lettura per comprenderli. Esattamente come avveniva per molti pittori del Rinascimento.

La Storia Vera di Luciano è un testo che non finisce mai di stupire il lettore, neanche dopo molteplici letture. Allo stesso modo in cui un’opera come Le Metamorfosi (o Asino d’oro) di Lucio Apuleio anticipa situazioni, simboli, messaggi e allegorie poi utilizzate dal libero muratore Carlo Lorenzini in Pinocchio, Luciano riprende, utilizza e spesso anche anticipa molti topos letterari e molte simbologie della mitologia, della Tradizione e della letteratura (dall’attraversamento delle Colonne d’Ercole al ventre della balena, dai Campi Elisi alla Terra dei Beati, dal Continente degli Antipodi alle guerre spaziali e ai viaggi sulla Luna).

Nel prologo Luciano afferma che racconterà una storia fantastica per rinfrescare la mente da letture più impegnative e che l’unica cosa vera del racconto è che è tutto falso. L’autore inizia, quindi, nel Primo Libro, con la descrizione del suo viaggio immaginario assieme a cinquanta compagni oltre le Colonne d’Ercole, animato come Odisseo dal desiderio di conoscere cose nuove. Subito l’equipaggio è colto da una tempesta di vento che sballotta la nave per settantanove giorni finché all’ottantesimo, al termine della tempesta, riescono a sbarcare su un’isola misteriosa. Scoprono una colonna di bronzo con un’iscrizione greca che attesta che Eracle e Dioniso hanno viaggiato fin lì e impronte di piedi giganti. Qui si imbattono in un fiume di vino dove nuotano pesci che ne prendono il sapore e in un gruppo di esseri che hanno forma di viti dai fianchi in giù e di donne dai fianchi in su.

Lasciata quest’isola, la nave si imbatte in un tifone e viene sollevata in aria fino a tremila stadi d’altezza. Dopo otto giorni di volo finisce in una terra vasta come un’isola, splendente e sferica e illuminata da una grande luce: la Luna. Sbarcati sulla superficie lunare, Luciano e i suoi compagni sono catturati dagli Ippogrifi (uomini che cavalcano enormi avvoltoi) e portati al cospetto del re selenita Endimione, che si trova impegnato in una guerra contro il re del Sole Fetonte per la colonizzazione di Vespero, Venere. Questa “guerra stellare”, combattuta da guerrieri improbabili come i Caulomiceti, armati di funghi come scudi e di gambi di asparagi come lance, o come gli Psyllotoxoti, che cavalcano pulci grandi come dodici elefanti, è vinta dall’esercito del Sole. Luciano e i suoi compagni, che avevano combattuto alleati con i Seleniti sono fatti prigionieri e portati sul Sole. La loro prigionia non dura molto, e una volta liberi decidono di tornare sulla Terra nonostante Endimione cerchi di trattenerli con sé promettendogli grandi onori.

Prima di riprendere la narrazione del suo viaggio, Luciano dichiara di riferire «le cose nuove e straordinarie» che ha avuto modo di osservare durante il suo soggiorno sulla Luna, iniziando una minuziosa quanto inverosimile descrizione dell’aspetto e delle abitudini dei Seleniti, come l’assenza di donne e la nascita dei bambini dai polpacci degli uomini.

La nave torna infine sulla Terra, ma viene inghiottita da una gigantesca balena di millecinquecento stadi di lunghezza. Al suo interno Luciano e i suoi compagni trovano un’isola abitata da fantastiche tribù. L’equipaggio le stermina tutte e, dopo un anno e nove mesi dall’apertura della bocca del mostro, i protagonisti assistono a una incredibile battaglia tra giganti che su isole lunghe remano come se queste fossero navi.

Nel secondo Libro Luciano e i suoi brancaleoneschi argonauti cercano una soluzione per riguadagnare il mare aperto. Sperimentano vari stratagemmi per evadere e infine appiccano un risolutivo incendio che, dopo alcuni giorni, quando l’animale è ormai morente, permette loro di far uscire la nave attraverso la bocca aperta del mostro marino. Attraversano quindi un mare di latte, scoprono un’isola di formaggio e le Isole dei Beati, governate dal cretese Radamante, dove incontrano Omero, Ulisse, Socrate, Pitagora e altri famosi personaggi. Quindi salpano e giungono presso un’isola dove vengono trattenuti da personaggi come Ctesia ed Erodoto, eternamente puniti per le “menzogne” da loro narrate. Quindi giungono presso l’isola dei sogni, dove rimangono trenta giorni, per poi approdare Dopo all’isola di Ogigia, dove consegnano a Calipso, da parte di Odisseo, una lettera in cui l’eroe spiega che avrebbe preferito rimanere con lei per poter vivere in eterno. Quindi riprendono la navigazione, giungendo presso una voragine nell’Oceano profonda mille stadi, ma riescono a superarla remando faticosamente su un ponte d’acqua che unisce le due sponde e si ritrovano finalmente in acque tranquille.

Dopo aver avvistato altre isole, scoprono infine un continente (verosimilmente l’America!). Mentre discutono se sbarcare per poco tempo o inoltrarsi nell’entroterra per esplorare questo nuovo mondo, una burrasca sbatte la nave sul lido distruggendola e condannando i malcapitati a restare lì. Il romanzo a questo punto si conclude improvvisamente, con la promessa di raccontare le successive avventure dei nostri eroi in libri seguenti, che Luciano non sembra però aver mai scritto.

Le Edizioni aurora Boreale ripropongono oggi ai lettori la Storia Vera nella traduzione dal Greco di Luigi Settembrini (1862), lasciando inalterate sia le note che denominazioni latine (in luogo di quelle elleniche del testo originale) dei personaggi da questi adottate.

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Guerre spaziali su Pianeta Scuola

In qualità di editore, ma soprattutto di storico e ricercatore nel campo delle Scienze Umane e – mio malgrado – anche di insegnante, mi sento particolarmente orgoglioso di aver dato alle stampe un nuovo straordinario saggio di Giuseppe Mosco. Guerre Spaziali su Pianeta Scuola non è un semplice libro di Pedagogia, ma riveste tutte le caratteristiche di un vero e proprio trattato di Sociologia, Antropologia e Psicologia, e al contempo di manuale per famiglie e docenti.

Alla luce della forte spinta totalitaria e della sistematica demolizione delle libertà costituzionali e dei più inalienabili diritti civili che ha caratterizzato gli ultimi anni, soprattutto a partire dal Febbraio del 2020, sempre più persone hanno preso coscienza di una realtà che fino a non molto tempo fa veniva denunciata da pochi coraggiosi scrittori e giornalisti troppo facilmente e semplicisticamente bollati dal “sistema” come “complottisti”. Vale a dire che quelle che soprattutto nel cosiddetto “Occidente” – si sono sempre presentate agli occhi dei cittadini come democrazie sono in realtà delle bieche e spietate oligarchie, delle corporation, totalmente asservite a poteri e organizzazioni sovranazionali. L’intera classe politica dell’Occidente, senza eccezione alcuna, è infatti composta da marionette totalmente al servizio di poteri economici e finanziari e di cartelli che gestiscono i settori energetico, farmaceutico e agro-alimentare, vale a dire i principali pilastri che determinano oggi la vita umana. E, per meglio poter gestire tali settori, certi poteri esercitano il più assoluto controllo anche sull’informazione (televisione, internet, giornali), sulla magistratura e sul mondo dell’educazione, vale a dire sul sistema scolastico, dalla scuola materna all’università.

Perché avviene tutto questo? La risposta è tanto semplice quanto inquietante: affinché vengano portati a compimento i piani di un Nuovo Ordine Mondiale distopico e totalitario, in cui non esisteranno più libertà e diritti civili e in cui gli esseri umani dovranno essere solo obbedienti ingranaggi del sistema sottoposti a costante videosorveglianza, a schiavitù digitale e a un meccanismo di credito sociale, occorre che venga definitivamente demolito il senso critico attraverso l’indottrinamento, la propaganda e la programmazione neuro-linguistica, occorre che venga eliminato ogni dissenso e che i tribunali siano compiacenti nella difesa delle leggi repressive e liberticide, e occorre soprattutto plasmare le nuove generazioni secondo i dettami del potere.

Nel 2020 il “sistema” si è tolto definitivamente la maschera (e ha ritenuto di imporla ai cittadini sulla base di un presunto e aleatorio “bene comune”), mostrando il suo vero volto: il volto di un potere che non esita a ricorrere al ricatto, alle minacce, alle intimidazioni, alla violenza, sia fisica che psicologica, all’apartheid, alla discriminazione, all’esclusione sociale, alla criminalizzazione e ostracizzazione di ogni dissenso, di ogni libero pensiero. Un potere per il quale – come già diversi anni fa denunciava profeticamente Marco Della Luna – i popoli sono ormai ritenuti superflui, masse di “mangiatori inutili” che devono essere irreggimentati, spogliati delle loro risorse e infine condotti docilmente al macello dal “buon pastore” di turno. Nella società post-industriale e digitale, nel mondo distopico pianificato dal World Economic Forum, dall’OMS e da altri poteri autoreferenziali, non c’è infatti più spazio per le masse, che un tempo costituivano forza lavoro e mano d’opera a basso costo, oppure utile carne da cannone in caso di guerra. Il gregge umano quindi deve essere tosato e sfoltito, a qualunque costo.

Le principali vittime di questo sistema, soprattutto durante gli anni del colpo di stato globale “pandemico” (che ha rappresentato una sorta di stress-test e di prova generale di ulteriori mosse totalitarie) si sono rivelati i giovani, in particolare gli adolescenti e i bambini. Costretti a indossare museruole, intimoriti dagli stessi insegnanti (e con il beneplacito di incoscienti e sconsiderati genitori) sotto la minaccia di un fantomatico “nemico invisibile”, condannati alla segregazione e all’isolamento, a rinunciare forzatamente al gioco, agli affetti e al contatto con i propri coetanei, i bambini sono stati indubbiamente quelli che negli ultimi anni più hanno sofferto, riportando traumi psicologici difficilmente cancellabili. Nessuno potrà restituire a questi bambini tre anni di vita che un regime criminale ha loro sottratto con metodico sadismo e pianificazione. Lo stesso regime che oggi pretende, con il suo sistema scolastico, di plasmare le loro coscienze fino alla perdita definitiva del senso critico e alla totale accettazione di modelli ideologici e sociali anti-umani. Modelli che prevedono la distruzione della cultura umanistica e dello schema sociale tradizionale fondato sulla famiglia, la riscrittura in senso orwelliano della Storia e il totale indottrinamento.

Occorre, oggi più che mai, prima che sia troppo tardi, gettare le basi per una nuova Pedagogia e fornire ai giovani e alle loro famiglie utili strumenti di apprendimento che siano decondizionanti e correttamente formativi.

Alla luce di tutto questo, il saggio di Giuseppe Mosco può rappresentare un’arma preziosa per la difesa dei nostri figli e del loro futuro. Perché il loro futuro, non dimentichiamocelo, è il futuro del mondo. E lo dico da padre.

Il libro inizia con una metaforica storia fantasy, per poi arrivare ad affrontare il mondo della scuola attraverso l’analisi delle trappole in cui esso è già caduto o in cui ancora rischia ulteriormente di sprofondare.

C’era una volta un piccolo pianeta chiamato Scuola, che orbitava nella Galassia di Matrioska. Questo mondo, pur posizionato a diversi anni luce dal nostro, era conosciuto da tutti su Terra grazie alla sua cultura millenaria. 

La presenza su di esso di un enorme faro, secondo solo a quello mitologico di Alessandria, lo aveva reso un luogo leggendario in tutto l’universo. Scuola era la meta di riferimento di tutti i viandanti dello spazio, un posto su cui fermarsi, acquisire conoscenze, orientarsi e recuperare le giuste energie, prima di ripartire.

Sul pianeta regnavano pace, conoscenza e armonia, ma dopo la barbara invasione dei Saturniani quel luogo non fu più lo stesso.

Gli abitanti di Saturno erano chiamati anche pirati neri e navigavano per lungo e per largo il cosmo, in cerca di viaggiatori persi da depredare. In questa ottica il pianeta Scuola era divenuto una seria minaccia per le economie di questi criminali e quindi andava annientato.

Questi cacciatori spietati navigarono a velocità di curvatura su astronavi invisibili e, una volta raggiunta l’atmosfera del brillante pianeta, lo attaccarono su più fronti.

Attraverso l’uso di armi supertecnologiche in grado di liquefare anche la pietra, sciolsero tutti i monumenti e i simboli più importanti, anche la luce del faro leggendario improvvisamente svanì.

Dalla nave madre furono lanciate milioni di piccole capsule rettangolari contenenti il virus della paura chiamato “mainstream”. Il Virus lanciato espose l’intero mondo al panico e la paura dilagò. 

Nel giro di qualche anno scolastico, il terrore raggiunse le tribù più storiche, ma quella che ne rimase più colpita fu quella dei “Maestri Acritici”, abitanti del pianeta che avevano spento le loro passioni, già ben prima della guerra, vivendo nel credo di un Dio del denaro e del benessere, chiamato Twenty-Seven.

I Saturniani da invisibili lentamente occuparono tutto quello che poterono e si mostrarono al pianeta con le loro flotte, solo dopo che il cielo si riempì. Tutto finì sotto il loro pieno controllo ma la popolazione distratta dal mainstream neanche alzando gli occhi in alto capì.

Nel caos generale creatosi nella stratosfera la luce divenne fioca e il loro sole sbiadì.

Come nel famoso film dei Caraibi, i pirati attesero la notte e mentre tutti dormivano salparono sul pianeta e iniettarono a tutti un robotizzante microchip.

Un’operazione andata a buon fine se non fosse stato per coloro che quella sera, avendo uno strano sentore, rimasero vigili e non dormirono.

L’invasione aliena aveva cambiato la percezione delle cose sul pianeta e, improvvisamente, il brutto venne compreso come bello, il solido divenne liquido, le relazioni divennero banali, la speranza si trasformò in disperazione e tutto in esso mutò…

Al di là di questa storia fantasy – metaforica, sì, ma decisamente azzeccata – tra le varie insidie del vigente sistema scolastico il saggio di Giuseppe Mosco affronta la situazione dell’apprendimento e di come le vecchie e nuove visioni distorte di chi la conduce politicamente stiano portando ad un forte e potenzialmente irreversibile regresso sociale. D’altronde, si sa, una società culturalmente povera e caratterizzata dall’omologazione e dall’analfabetismo funzionale, risulta molto più condizionabile e manipolabile.

Guerre Spaziali su Pianeta Scuola è un saggio che, rivolto non solo agli insegnanti ma anche e soprattutto ai genitori, può costituire un utilissimo strumento di riflessione per difendere le nuove generazioni dal transumanesimo, dall’omologazione e dai sempre più pressanti condizionamenti pseudo-sanitari e “pandemici”, della cancel culture e dei falsi e fuorvianti miti delle ideologie woke, gender e green. Per riscoprire la più autentica e imprescindibile dimensione umana.

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E l’Anima risvegliò il suo Dio di Fiorella Rustici – La prefazione di Nicola Bizzi

LA LUNGA STRADA VERSO I PRATI DI PERSEFONE

di Nicola Bizzi

Fin dagli albori della storia e della civiltà, l’essere umano ha avuto e trasmesso alla propria comunità e alla propria progenie la consapevolezza di essere una creatura pensante animata da una scintilla divina, di essere in sostanza un frammento di Eternità. Ha avuto il sentore, oserei dire la certezza, di non essere limitato ad una mera esistenza fisica destinata a terminare con il decadimento e la morte del suo “involucro”, ma di essere bensì destinato in qualche modo a ricongiungersi con quelle stesse Forze creatrici che regolano l’esistenza, l’energia del cosmo e le dinamiche potenti e immutabili della Natura. E, di conseguenza – come ci attestano innumerevoli reperti archeologici e la stessa nascita del sentimento religioso e della Filosofia – ha sempre posto in un ruolo di primo piano il proprio rapporto con il Trascendente, ponendosi delle fatidiche domande: Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?

In particolare è sempre stato l’ultimo di questi tre interrogativi, ovvero dove siamo destinati ad andare, non solo metaforicamente e materialmente sulla via tracciata dal destino, ma anche e soprattutto dopo la fine della nostra esistenza terrena, a stimolare nell’umanità l’incessante necessità di risposte. Risposte che l’uomo, fin dalla Preistoria, si è in buona parte dato con la nascita e lo sviluppo del pensiero religioso e, successivamente, con la nascita della Filosofia.

Il termine Filosofia (Φιλοσοφία), che in Greco antico si compone da φιλεῖν (phileîn), “amare”, e σοφία (sophía), “sapienza”, significa letteralmente “amore per la sapienza”.

I moderni dizionari e le enciclopedie definiscono concordemente la Filosofia una disciplina e al contempo un campo di studi che si pone domande e riflessioni sul mondo e sull’uomo, indaga sul senso dell’essere e dell’esistenza umana, tenta di definire la natura e si occupa dei limiti e delle possibilità della conoscenza. Ma prima ancora che indagine speculativa, la Filosofia è stata una disciplina che seppe assumere anche i caratteri della conduzione di un determinato “modo di vita”, ad esempio nell’applicazione concreta dei principi desunti attraverso la riflessione e il pensiero, e in questa forma la si fa sorgere, ne si collocano le origini ed i fondamenti, proprio nell’antica Grecia. Ma a rendere complessa una definizione univoca della Filosofia concorse il dissenso (ancora oggi tutt’altro che risolto) tra i suoi protagonisti ed artefici (i Filosofi) sull’oggetto stesso di tale disciplina. Un falso problema questo, perché, se andiamo all’origine, i più antichi Filosofi non ponevano una netta linea di demarcazione fra Philo-Sophia e Sapere Sacro. E, come giustamente sottolineava Victor Magnien, «la Filosofia greca deriva dai Misteri, almeno secondo l’opinione degli stessi Greci».

La semplice traduzione dal termine greco (“amore per la sapienza”) non sarebbe certo di per sé sufficiente a rendere l’idea di cosa sia stata e di come venisse intesa e percepita la Filosofia nell’antico mondo ellenico anche perché il significato che il termine poteva rivestire in un contesto culturale, quello dell’antichità classica, in cui l’uomo era più vicino agli Dei e gli Dei erano più vicini all’uomo, si distanzia enormemente dai significati e dalle interpretazioni che della Filosofia sono stati dati nelle epoche successive, dal Medio Evo all’Età Moderna, caratterizzate da ambiti sia socio-economici che cultural-religiosi completamente diversi.

Finché non ci spogliamo della cappa di modernità che ci avvolge, e soprattutto dai plurisecolari condizionamenti che essa ha necessariamente comportato, influenzando il nostro modo di vivere, percepire e vedere noi stessi e la realtà che ci circonda, non riusciremo a comprendere pienamente le opere che ci hanno lasciato indiscussi Maestri del pensiero quali Platone, Plotino, Porfirio, Proclo e molti altri ancora.

Ma la Filosofia greca, sia che la intendiamo come Sapere Sacro e amore per la Divina Sapienza, che come scuola di vita e palestra di riflessione, meditazione, introspezione ed elevazione, a differenza di specie ormai estinte come l’Homo Erectus o l’Homo Neanderthalensis, è tutt’altro che appartenente al passato. Essa è tutt’oggi viva e pulsante e, nonostante i pesanti ed innegabili condizionamenti sociali dovuti a duemila anni di Cristianesimo che ne hanno alterato parte della natura e del messaggio intrinseco, continua a costituire la base stessa della nostra forma mentis e del nostro bagaglio culturale.

Giorgio Giacometti ha affermato in un suo saggio che «in ciò siamo soccorsi dagli stessi testi antichi che per aiutare la concentrazione passano di punto di vista in punto di vista (donde l’apparenza in essi della contraddizione e dell’eclettismo)» e che «a tale soccorso dobbiamo aggiungere quello di testi e maestri moderni che ci forniscano la chiave di lettura e di meditazione di questi scritti». Ma è semmai, dal mio punto di vista, l’esatto contrario. Nessun autore, nessun filologo o nessun sedicente “filosofo” moderno potrà mai fornirci le corrette chiavi di lettura della Philo-Sophia antica, e in particolare di quella platonica e neoplatonica. Tali chiavi di lettura, a meno che non ci si accontenti degli aspetti più esteriori (dell’involucro, potremmo dire), le si raggiungono in soli due modi: attraverso un’Iniziazione misterica e il relativo processo graduale di elevazione/apprendimento sotto l’attenta guida di un Mystagogo, o, in maniera profana (e quindi necessariamente incompleta o parziale), attraverso una prolungata e faticosa attenta lettura dei testi dei Maestri del passato, accompagnata da una propedeutica ma indispensabile spoliazione catartica di ogni pregiudizio preconcetto dettato dai condizionamenti socio-culturali e religiosi del mondo contemporaneo.

Sempre Giorgio Giacometti, in Meditare Plotino, rifacendosi agli studi del filosofo e teologo francese Pierre Hadot – e in particolare al saggio di quest’ultimo intitolato Esercizi spirituali e Filosofia antica – evidenzia molto il ruolo della Filosofia come ασκησις, cioè come esercizio o meditazione. Ci ricorda infatti come Hadot, muovendosi dalla considerazione di quanto la Filosofia antica interpretasse sé stessa come esercizio, sia arrivato a comprendere quanto la Tradizione antica continui a vivere in noi, per lo più inconsapevolmente (come potenza o latenza) e quanto essa possa parlare al disagio dell’uomo contemporaneo sicuramente più e meglio di altre Tradizioni, ivi comprese quella Cristiana e quelle orientali.

Sotto questo profilo, sulla base degli studi di Hadot, la Filosofia si presenta innanzitutto come arte del vivere, o come arte di vita e di morte, o, se vogliamo essere ancora più precisi, coma arte del saper vivere e del saper morire. E non è certo una casualità il fatto una simile definizione sia per eccellenza la medesima della Tradizione misterica ed iniziatica, e di quella eleusina in particolare.

Già nel 1928 il noto teosofo ed esoterista olandese Johannes Jacobus Van der Leeuw, nel suo celebre saggio The Conquest of illusion, ci ricordava come la Filosofia debba essere intesa soprattutto come ricerca della vita e che essa è più che amore per la saggezza, a meno che non intendiamo per saggezza qualcosa di diverso dal sapere. Secondo Van der Leeuw, la stessa saggezza è conoscenza ed esperienza, e perciò è vita. E la ricerca della saggezza deve quindi essere intesa anche come ricerca della vita. Ma la vera Filosofia non deve limitarsi ad essere una mera soluzione intellettuale dei problemi. Nelle parole di Platone la Filosofia nasce dalla meraviglia, ed il vero Filosofo è colui che continua a meravigliarsi della vita, che non cessa mai di farlo, non colui che è certo di aver risolto ciò che sta al di là di ogni soluzione. È profondamente vero, quindi, come ci insegna Van der Leeuw, che finché non siamo in grado di vedere le meraviglie della vita intorno a noi, a meno di non vederci come avvolti in un mistero che sfida la nostra audace esplorazione, non siamo ancora sull’autentico sentiero della Filosofia.

Come ci spiega sempre Van der Leeuw, l’uomo non risvegliato conosce solo i fatti, non conosce misteri; per lui le cose si spiegano da sole; il mondo esiste, cosa altro c’è da sapere? Ma questo è un modo di vedere animale; per una mente bovina il pascolo può essere buono o cattivo, e non c’è bisogno di spiegazioni. E quindi l’uomo non risvegliato si accontenta dei fatti dell’esistenza: l’ambiente che lo circonda, il cibo, il lavoro, la famiglia e gli amici sono altrettanti “fatti” che lo circondano, fatti piacevoli o spiacevoli, ma che non hanno per lui mai apparente bisogno di essere spiegati. Parlargli di un mistero celato nella sua vita e nel suo mondo potrebbe sembrare cosa vana e non avrebbe alcun senso; egli vive, e il semplice fatto di vivere gli basta. La morte e la vita stesse possono per un momento infondergli un senso di ansia o di gioia, ma anche in tale caso non risvegliano in lui alcuna curiosità: sono in fondo per lui cose familiari e abituali. Ed è proprio questa apparente familiarità alla vita che cela il suo mistero alla mente animale.

L’uomo non risvegliato così mirabilmente descrittoci da Van der Leeuw rappresenta purtroppo oggi, a differenza che nell’antichità – quando, come abbiamo detto, in un reale scambio e connubio l’uomo era più vicino agli Dei e gli Dei più vicini all’uomo e assai maggiore era il livello di consapevolezza – più una regola che l’eccezione. Buona parte dell’umanità è oggi assimilabile ai protagonisti dell’allegoria della caverna spiegataci esemplarmente da Platone nella Repubblica. E la Filosofia, l’autentica Philo-Sophia, può, oggi più che mai, – a differenza delle imperanti religioni monoteistiche fondate sul dogmatismo e sulla logica “del bastone e della carota” – rappresentare per tanti di questi uomini un raggio di luce capace di squarciare le tenebre in cui sono avvolti e contribuire così al loro risveglio (per quanto traumatico esso possa essere) e al loro cammino sul sentiero della Consapevolezza.

Quanto appena riportato non può non richiamarmi alla mente un paragone molto calzante ed esplicativo riportato da Corrado Malanga nel suo illuminante saggio Genesi. Mi sto riferendo alla metafora del cavallo/cavaliere, secondo la quale il cavaliere, nella sua dualità, rappresenta il nostro spirito, e il cavallo il nostro corpo fisico. Tale metafora ci insegna che ciascuno di noi nella vita è contemporaneamente cavallo e cavaliere, ma il cavaliere deve sempre cercare di dominare e controllare il proprio cavallo, conoscere il suo stato di salute, i suoi turbamenti e le sue debolezze. Nel nostro pellegrinaggio terreno – scrive Malanga – spesso accentuiamo a tal punto il contrasto della dualità del cavaliere (maschile, forza, ragione, lato sinistro del cervello, contro femminile, dolcezza, passione, lato destro del cervello) perdendo di vista il vero obiettivo del cammino intrapreso: godere del dono della vita.

L’esercizio spirituale della Filosofia, nelle interpretazioni di Pierre Hadot, non è inteso solo come mezzo che ha per fine il vivere bene, ma esso stesso incarnerebbe il modo migliore di vivere. La Filosofia, quindi, come ci insegna Aristotele nella Metafisica, può essere intesa come fine a sé stessa purché con ciò non si intenda assimilarla ad un ozioso gioco speculativo, ma la si prenda sul serio come esercizio che impegna e richiede tutte le energie della vita; il che, come ci ricorda Giacometti, può anche essere espresso con l’affermazione che la vita stessa non ha senso se non come esercizio di morte, ossia come accettazione e disponibilità al trapasso, conoscendo sé stessi nel proprio autentico sé, al di là dell’io=corpo (o del “cavallo” secondo la metafora malanghiana), dell’individuo, quell’io che non altro rappresenta, in fondo, che l’ultima delle passioni o illusioni.

Un insegnamento, anche questo, che rientra a pieno titolo fra quelli della più autentica Tradizione Misterica. Come giustamente osservava Victor Magnien, il Socrate che Platone fa parlare nell’Apologia professa certo le idee e le dottrine insegnate nei Misteri quando afferma: «Se un uomo, liberato da coloro che qui pretendono di essere giudici, giunge presso Hades e vi trova i veri giudici che si dice giudichino laggiù, Minosse, Radamante e Eaco e tutti i Semi-Dei di cui fu detto che condussero una vita giusta, compie forse un cambiamento di cui si debba rammaricare? Dimorare assieme ad Orfeo, Museo, Esiodo e Omero non è una sorte da tenersi in gran conto?».

Come sottolineava Giovanni Pugliese Carratelli, dell’immagine, così persistente nella letteratura greca dall’età arcaica alla classica, della vita umana come un tessuto di sofferenze hanno cercato di dare una giustificazione i primi teologi e i primi filosofi (due categorie che, come spiego spesso nei miei saggi, nel mondo antico erano spesso coincidenti e compenetranti). E, con la nascita e lo sviluppo dei culti misterici – che, attraverso un percorso iniziatico e di elevazione e un duro lavoro di lotta contro sé stessi, offrivano e garantivano ai propri adepti non solo le risposte ai grandi interrogativi che già abbiamo menzionato, ma anche la salvifica certezza di una vita eterna – si è fatta strada nei popoli antichi la piena consapevolezza di una sopravvivenza oltre questa vita fisica. La piena consapevolezza del fatto che esista una piena correlazione fra morte e iniziazione, e sul fatto che il Filosofo, come l’iniziando a Eleusi, “intende a morire”, e intende a farlo, come ricordava Marco Tullio Cicerone (non a caso un grande iniziato eleusino), «cum laetitia vivendi rationem accepimus, sed etiam cum spe meliore moriendi».

Ma gli insegnamenti misterici non si limitavano a far affrontare agli adepti la morte con letizia e a dare loro la speranza di una vita eterna. Mettevano gli iniziati anche in guardia dai terribili pericoli che avrebbero potuto affrontare una volta varcata la fatidica soglia, conferendo loro delle vere e proprie “istruzioni” per non cadere nelle trappole di forze oscure avverse all’umanità – forze arcontiche e vampiriche che si nutrono della nostra stessa energia animica – e per giungere indenni ai Campi Elisi, ai Prati di Persefone.

«Troverai a destra delle case di Ade una fonte, e accanto ad essa un bianco cipresso: a questa fonte non avvicinarti neppure. Più oltre troverai la fredda acqua che scorre dal lago di Mnemosyne. Vi stanno innanzi i custodi, ed essi ti chiederanno a qual fine sei giunto fin lì. A loro tu esponi tutta la verità; dì: “Sono figlio della Terra e del Cielo stellato; Astérios è il mio nome. Sono arso di sete: datemi da bere dalla fonte”». Così recita il testo di una delle tante laminette d’oro (nello specifico quella rinvenuta a Pharsalos, in Tessaglia), impropriamente definite dagli archeologi “orfiche”, che venivano deposte nei sepolcri degli iniziati eleusini e che contenevano le istruzioni per intraprendere correttamente il viaggio ultramondano.

Nel contesto degli antichi Misteri, l’Epopteia rappresentava l’esperienza contemplativa culminante, ed è proprio per questo che uno dei principali significati del termine Ἐπόπτης è “Contemplare” o “Contemplare del Tempio”, cioè colui a cui è consentito contemplare gli Dei da vicino. Ma soprattutto, come evidenziò nel 1841 Jean Marie Ragon, «colui che vede le cose tali e quali sono, senza veli».

Se la Mysta comporta per l’iniziando una morte rituale simbolica e “di concetto”, con l’Epoteia l’Iniziato vive l’esperienza di una morte rituale vera e propria. O, quella che in termini moderni, potremmo definire un’esperienza di pre-morte. Chi scrive lo sa con cognizione di causa, perché – ve lo posso assicurare – ci sono passato in prima persona.

Un discusso frammento oggi attribuito ufficialmente a Plutarco di Cheronea, ma che, prima dell’attribuzione voluta e di fatto imposta da Francis Henry Sandbach, molti filologi classici ritenevano (secondo me a ragione) di Plutarco di Atene, risulta fondamentale per comprendere la natura dell’esperienza epoptica: «L’anima al momento della morte fa un’esperienza analoga a quella provata da coloro che si sottopongono all’iniziazione ai Grandi Misteri. Perciò anche il verbo teleutàn (morire, n.d.A.), come anche l’azione che esso esprime, sono simili a teléisthai (essere iniziato, n.d.A.). Dapprima si erra faticosamente, smarriti, correndo timorosi attraverso le tenebre senza raggiungere alcuna meta; poi, prima della fine, si è pervasi da ogni genere di terrore, spavento, tremore, sudore e angoscia. Ma poi una meravigliosa luce ci viene incontro e si è accolti da luoghi puri e da prati, dove risuonano voci e si vedono danze, dove si odono solenni canti ieratici e si hanno divine apparizioni. Tra questi suoni e queste visioni, ormai perfetti e pienamente iniziati, si diviene liberi e si procede senza vincoli, con ghirlande di fiori sul capo, celebrando i Sacri Riti insieme agli uomini santi e puri. Si osserva allora la massa degli uomini che vivono qui sulla terra, i non iniziati e i non purificati, schiacciarsi e spingersi nel fango della palude e nelle tenebre, attanagliati dalla paura per i mali della morte a causa della mancanza di fiducia nei beni dell’Aldilà».

Quest’opera di Fiorella Rustici che vi apprestate a leggere è un vero e proprio romanzo iniziatico, e come tale non è indubbiamente un libro per tutti. Si tratta infatti di un testo capace di trascinare chi vi si immerge nelle complesse e sconcertanti dinamiche del post-mortem, alla ricerca del più profondo significato dell’esistenza umana. Un libro capace di fornire delle risposte che non tutti possono essere in grado di recepire e di affrontare, soprattutto se non dispongono di un adeguato livello di Consapevolezza. Ma, al contempo, si tratta di un libro ricchissimo di verità (anche terribili) e di infiniti spunti di riflessione, sicuramente per certi versi sconvolgente, che di sicuro non lascerà indifferenti i lettori. E l’Anima risvegliò il suo Dio è un libro che molto probabilmente – oserei dire inevitabilmente – scardinerà in chi lo legge molte false certezze e risposte accomodanti, contribuendo a far aprire gli occhi sul grande mistero della Vita.

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Le Vesti dell’Anima di Cristina Alunni – La prefazione di Nicola Bizzi

Quando Cristina Alunni mi ha proposto di dare alle stampe la sua opera Le Vesti dell’Anima, dopo averla letta non ho esitato un solo istante nel darle il mio pieno ed entusiasta assenso.

Raramente, come editore, mi capita di pubblicare romanzi. Notoriamente tendo a dare maggiore spazio alla saggistica, sia storica che inerente ad argomenti e tematiche che possano favorire nei lettori la spiritualità, la consapevolezza, o quanto meno un incentivo a porsi delle domande, ad indagare sui grandi misteri della vita, dell’universo, della natura e della stessa esistenza umana. Ma mi sono subito reso conto, già da una prima lettura, che Le Vesti dell’Anima rappresentava ben più di un romanzo e, al contempo, ben più di un semplice viaggio nella psiche emozionale, come recita il suo sottotitolo. Quest’opera di Cristina Alunni, che non esito a definire un capolavoro, costituisce un vero e proprio percorso iniziatico, al di là delle barriere del tempo e dello spazio, che ci porta alla scoperta della nostra stessa anima, della nostra spiritualità, della nostra immortalità divina. Un viaggio avvincente e introspettivo, a tratti anche drammatico, che va ad affrontare – riuscendo peraltro brillantemente a farlo, e il che non è assolutamente facile o scontato – temi quali la reincarnazione, il karma, il destino, l’amore, la morte, l’iniziazione, e che può contribuire a risvegliare nei lettori la consapevolezza di avere forse già nella propria coscienza le risposte a quei fatidici interrogativi che da sempre accompagnano gli esseri umani: Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?

Questo libro di Cristina Alunni mi ha molto ricordato il capolavoro di Anya Seton Verde Oscurità, che fu una delle mie letture giovanili, ma ha a mio parere un quid in più: la comprensione e l’esplicazione del concetto di Femminino Sacro. La Dea, la Grande Madre, Colei dal cui grembo proveniamo e al cui grembo ritorneremo, pervade con la sua costante e discreta presenza tutte le pagine di questo libro, ammantandole di Amore, di quell’amor che move il sole e l’altre stelle, come sottolineava nella sua Commedia quello straordinario iniziato che fu Dante Alighieri.

Questo libro sicuramente non vi lascerà indifferenti e sono certo che, se ne comprenderete il mesasaggio, saprete fare tesoro delle perle che contiene.

Nicola Bizzi

Firenze, 16 Novembre 2021

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Alle origini della civiltà umana: Eleusi, Mesopotamia, Immortalità

Il Prof. Nicola Bizzi, fondatore e titolare delle Edizioni Aurora Boreale, è stato intervistato da Alessandra Gargano Mc Leod su Radio Ondaradio sul tema: Alle origini della civiltà umana: Eleusi, Mesopotamia, immortalità.

Qui il link al video: https://www.youtube.com/watch?v=Cu60LpFcnYQ

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Bizzi: Cro-Magno, l’uomo di Atlantide venuto dalle stelle

Articolo di Giorgio Cattaneo

https://www.libreidee.org/2021/04/bizzi-cro-magnon-luomo-di-atlantide-venuto-dalle-stelle/

Chi siamo? Da dove veniamo? Sono domande che ci interpellano da sempre. «La maggior parte dell’umanità è predisposta alla sottomissione: gente inconsapevole, gestita completamente». Lo scrive in un libro il biologo Giovanni Cianti in una considerazione erroneamente attribuita a Carlos Castaneda. «Chi ha capito, ha capito: non ha bisogno di consigli. Chi non ha capito, non capirà mai. Io non biasimo queste persone», scrive Cianti: «Sono strutturate per vivere, e basta: mangiare, bere, respirare, partorire, lavorare, guardare la televisione e mangiare la pizza il sabato sera, andare a vedere una partita. Il mondo, per loro, finisce lì: non sono in grado di percepire altro. C’è invece un piccolissimo gruppo di esseri umani, che possono essere definiti “difetti di fabbricazione”. Sono sfuggiti al “controllo qualità” della linea di produzione. Sono pochi, sono eretici e sono guerrieri». Mi piace molto, questa frase, forse perché anch’io sento di appartenere a questa minoranza. Ma non è solo questione di rifiutare i dogmi, le imposizioni, e di sentirsi guerrieri. E’ anche una questione di sensibilità. Si tratta di porsi domande, di chiedersi sempre il perché delle cose.

E infatti, tutte le grandi tradizioni spirituali – quelle autentiche, dell’antichità, quelle cioè che hanno preceduto l’era dei dogmi – hanno sempre spinto le persone a porsi domande. Tutte le grandi tradizioni iniziatiche dell’antichità erano finalizzate al risveglio della coscienza e della percezione, all’apertura di certi canali che noi possediamo naturalmente, ma che magari non sappiamo come utilizzare. Sono canali di comunicazione tra macrocosmo e microcosmo. Comunicazione diretta: sono dei portali, che abbiamo dentro di noi. Molte persone, semplicemente, li ignorano: non si pongono nemmeno il problema della loro esistenza. Nel libro “Resi umani”, scritto con Mauro Biglino, il biologo molecolare Pietro Buffa riflette sulla nostra parentela con lo scimpanzé: il cucciolo di scimpanzé e il “cucciolo d’uomo” sono praticamente indistinguibili. Poi lo scimpanzé adulto si trasforma e si allontana molto da noi, mentre l’uomo adulto conserva i tratti delle specie domestiche, con scarsissima aggressività, e mantiene i caratteri morfologici del cucciolo, come gli occhi grandi rispetto al resto del corpo: un fenomeno che gli scienziati chiamano “neotenia”.

Siamo stati “domesticati” da qualcuno, che ci ha “fabbricati” con la genetica? Lo dicono i testi sumeri: raccontano che gli Anunnaki “crearono” gli Igigi, loro servitori, progettati per lavorare al posto loro, nelle miniere. La nascita degli Igigi ricorda da vicino quella degli Adamiti, che la Bibbia attribuisce agli Elohim. Nella tradizione eleusina, i nostri “creatori” sono gli dèi Titani. Per la precisione, quattro di loro: Atlante, Menezio, Prometeo ed Epimeteo, figli di Giapeto. Da cui la Stirpe Giapetide, ottenuta anche in quel caso con l’ingegneria genetica. La nostra sarebbe la Quinta Umanità, anche per Esiodo. In vari testi antichi si allude a interventi numerosi e ripetuti, attraverso varie fasi del nostro passato. Si parla di una civiltà avanzata, sbarcata sulla Terra in un’epoca incredibilmente remota. La Terra: un pianeta ottimale per la vita, abitabile, con enormi risorse naturali da sfruttare. Solo che, magari, i primi “pionieri” erano in pochi: un’avanguardia di sparuti colonizzatori.

Per ottenere lavoratori, questi pionieri hanno incrociato i loro geni con quelli di alcuni tipi di primati, al fine di ottenere manodopera a costo zero? Si tratta di un’ipotesi inquietante, come è inquietante che l’umanità attuale presenti tanti segni di soggezione, di sottomissione. Non è un mistero, per psicologi e sociologi: l’Homo Sapiens attuale è estremamente manipolabile, suscettibile di indottrinamenti. Tutte le grandi religioni (monoteistiche, in particolare) hanno sempre imposto dogmi: non spingersi oltre, non cogliere il frutto proibito, non porsi domande, accettare il dogma di fede. E’ la basilare forma di indottrinamento, che nelle religioni monoteistiche accompagna l’essere vivente dalla culla alla tomba. Ci viene insegnato a credere, e tutto i sistema si regge su questo. Proprio tutto? Secondo certe interpretazioni, alcune manipolazioni genetiche sarebbero avvenute in epoche assai remote, prima di 200.000 anni fa, e avrebbero portato alla nascita di alcuni ceppi del Sapiens. Secondo invece la tradizione misterica eleusina, sarebbe avvenuta una successiva manipolazione, ad opera dei Titani, attorno all’anno 80.000 avanti Cristo.

Molto plausibilmente, questa seconda manipolazione dette vita all’Uomo di Cro-Magnon, un ceppo del Sapiens particolarmente evoluto. E’ un enigma, per la storia, perché il Cro-Magnon nasce già avanzato, con elevatissime proprietà di linguaggio e con una struttura sociale organizzata, e si diffonde in buona parte dell’emisfero occidentale. La sua comparsa può aver turbato certi processi precedenti? Ha generato un’anomalia? Una falla, nella cosiddetta Matrix? Secondo determinate teorie, il Cro-Magnon sarebbe l’Uomo di Atlantide: proprio quella particolare umanità che gli Dei Titani avrebbero creato a loro immagine e somiglianza, e che avrebbe generato una propria civiltà in quello che era un grande continente, oggi scomparso, nell’Altantico settentrionale.

Doveva essere un continente che poi sarebbe stato distrutto nell’ambito di una grande guerra, che ci viene descritta nella “Teogonia” di Esiodo come la Titanomachia, una guerra combattuta fra Dei. Secondo certi testi mitologici, questo cosiddetto Primo Impero di Atlantide avrebbe cessato il proprio percorso storico attorno al 19.000 avanti Cristo. Poi, la civiltà umana del Cro-Magnon sarebbe risorta dalle proprie ceneri (dalle palafitte, dalle caverne) fino a tornare grande, organizzata e civile, e a conquistare vastissimi territori, incluso il bacino mediterraneo, il Medio Oriente, buona parte dell’Africa e le Americhe. Sempre secondo alcune interpretazioni, questa particolare parte di umanità avrebbe dato molto fastidio, a certi gestori della Matrix. Lo so, sembra di sconfinare nella fantascienza. E sia: facciamo finta che sia fantascienza. Dunque, immaginiamo che questo sia vero, e che tanti altri ceppi umani siano frutto di una manipolazione finalizzata esclusivamente all’assoggettamento e alla “domesticazione”, per diventare forza lavoro gratuita.

Tutto questo può aver fatto comodo, a certi schemi di potere che poi, di volta in volta, hanno dovuto ricorrere a forme manipolative. Come una sorta di “tagliando”: ogni tanto è stato necessario, nella storia, per certe élite di potere, ricorrere a ulteriori giri di vite, a ulteriori interventi manipolativi a livello concettuale, di dogma, di pensiero religioso, giusto per riportare questa umanità nei binari prestabiliti. Immaginiamo però che una parte di umanità sia sfuggita, a questa logica. Immaginiamo che abbia portato avanti una civiltà libera da questi schemi, libera da certi dogmi, e che questa parte di umanità sia sempre stata contrastata da certi poteri. Poi, la distruzione della Seconda Atlantide (fra il 10800 e il 9600 avanti Cristo, a causa di un cataclisma di origine cosmica) ha segnato di nuovo un duro colpo, per questa umanità.

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La fine del Nuovo Ordine Mondiale: Gabriele Sannino a Il Vaso di Pandora

Lo scrittore e giornalista Gabriele Sannino, autore del saggio La fine del Nuovo Ordine Mondiale: la caduta dell’élite globale (Edizioni Aurora Boreale) è stato intervistato sul canale Il Vaso di Pandora.

Con il suo nuovo libro, un messaggio di riscossa nei confronti di un potere oppressivo e subdolo, Sannino ci propone uno scenario di scontro tra una élite mondiale ed un’alleanza di poteri eterogenea ma determinata. I potenti oppressori hanno probabilmente i giorni contati ed il mondo sta per affrontare una serie di importanti cambiamenti. Buon Ascolto!

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Gabriele Sannino, autore del saggio La fine del Nuovo Ordine Mondiale, intervistato su Radioascoltolive

Gabriele Sannino, giornalista e ricercatore, autore del saggio La fine del Nuovo Ordine Mondiale: la caduta dell’élite globale (Edizioni Aurora Boreale) è stato ospite nella trasmissione Confini su Radioascoltolive. Con il suo nuovo libro, un messaggio di riscossa nei confronti di un potere oppressivo e subdolo, Sannino ci propone uno scenario di scontro tra una élite mondiale ed un’alleanza di poteri eterogenea ma determinata. I potenti oppressori hanno probabilmente i giorni contati ed il mondo sta per affrontare una serie di importanti cambiamenti. Buon Ascolto!

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I Minoici in America: recensione di Salvatore Uroni

Ringraziamo lo scrittore Salvatore Uroni per questa sua splendida recensione:

«Ho letto il libro di Nicola Bizzi, I Minoici in America e le memorie di una civiltà perduta, Edizioni Aurora Boreale, e leggerlo è stata un’avventura affascinante. Alcune informazioni contenute nell’opera erano in mio possesso, ma la maggior parte delle conoscenze che Nicola Bizzi ha trasfuso nel libro mi hanno dato l’opportunità di imbarcarmi, come novello Giasone a bordo della nave Argo, in un viaggio alla scoperta di mari e terre dove Storia, Mitologia, evidenze storico monumentali e testimonianze scritte vengono riportate e raccontate, con dovizia di particolari e testimonianze incontestabili, per confutare una storiografia ufficiale ingessata e impermeabile a nuove scoperte che per valore e datazione spazio-temporale mettono in discussione paradigmi obsoleti, e direi oramai indifendibili di fronte a scoperte straordinarie, ben evidenziate nel libro, che raccontano un’altra storia sull’origine e sullo sviluppo della civiltà umana. I Minoici in America si colloca, senza ombra di dubbio, nel solco di quel grande risveglio che sempre più si sta manifestando in tutto il mondo in questa fase storica. Il libro di Nicola Bizzi contribuisce a questo grande risveglio e si fa strumento per abbattere muri di menzogne per riportare alla luce la verità sulla vera origine e sulla vera natura del genere umano. Consiglio fortemente di leggerlo».

Salvatore Uroni

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Sumeri, Fenici e Romani in America: la nostra vera storia

Articolo di Giorgio Cattaneo

https://www.libreidee.org/2021/05/sumeri-fenici-e-romani-in-america-la-nostra-vera-storia/

Chi siamo? Da dove veniamo? Dobbiamo imparare dai bambini: loro si chiedono sempre il perché di tutto. Io amo Platone, il suo metodo dialogico. Maieutica, in greco, significa ostetricia: farti nascere, stimolarti a trovare le risposte dentro di te. Nessuno di noi ha la verità in tasca, ma ognuno ha la capacità di arrivare a individuare una verità possibile. Il termine “verità” probabilmente è troppo grande, da usare. Però possiamo parlare di menzogna, questo sì. Da storico, ho sempre voluto indagare nei retroscena, della storia e della realtà che viviamo. E mi sono reso conto che tutto ciò che ci è stato insegnato è stato sempre finalizzato ad un solo obiettivo: il mantenimento dello status quo, il potere di chi comanda. Triste realtà: la storia la scrivono sempre i vincitori. I vinti, chiunque siano – i Troiani sconfitti dagli Achei, i Greci sconfitti dai Persiani, gli abitanti dell’Amazzonia sconfitti dalla deforestazione – non riescono mai a scriverla, la verità: vengono ridotti al silenzio. Sbagliatissimo: perché la ricostruzione del nostro passato riguarda tutti noi, sia i vincitori che i vinti, quelli che non hanno avuto la parola. E l’insegnamento della storia è sempre stato finalizzato a salvaguardare il potere di chi ha vinto.

Nicola Bizzi

Quante bugie ci hanno raccontato, a partire dalla preistoria? Come ci sono state raccontate, le origini dell’umanità? Quante mistificazioni sono state perpetrate? In materia di storia e archeologia, lo Smithsonian Institute è una delle principali istituzioni culturali degli Stati Uniti, dove gestisce decine di musei. Ebbene, di recente è stato condannato da un tribunale federale americano, dopo una serie di denunce, per aver deliberatamente distrutto – nel corso di svariati decenni – migliaia di reperti archeologici “scomodi”. Perché mai distruggere un reperto archeologico? Perché tutto quello che va a infrangere il paradigma dominante è tabù: è vietato. Quest’anno c’è stata una censura terribile, su Internet, che continua tuttora. Ora, abbiamo a che fare con una situazione particolare: e chi mi conosce sa bene che, da un anno, sto combattendo una battaglia per la verità. Perché ci stanno raccontando parecchie bugie, su tanti fronti. Bugie sempre finalizzate al potere, al controllo, al dominio sulle masse. E la censura, purtroppo, fa parte di questo gioco: come nei tempi antichi, e poi nel medioevo e oltre.

Giordano Bruno

Fino al Sei-Settecento è rimasta il vigore la cosiddetta Santa Inquisizione: se personaggi come Galileo se la sono cavata abiurando, altri – come Giordano Bruno – hanno pagato con la vita il loro impegno a sostenere delle verità che il potere pretendeva di negare, di nascondere. E’ bene studiare, quindi, la vera origine e il reale percorso delle grandi civiltà. Ma soprattutto, è importante capire perché ci hanno imposto dei dogmi. Come mai la storia è piena di dogmi? Vengono chiamati “paradigmi”, ma in realtà sono veri e propri dogmi di fede. Io mi sono poi laureato in storia, ma la mia grande passione è sempre stata l’archeologia. Eppure faticavo: già ai tempi dell’università io ragionavo con la mia testa, e mi scontravo con i docenti. Mi dicevano: guarda che queste cose non le puoi dire. Non mi hanno mai detto: le tue osservazioni sono sbagliate. Macché: implicitamente mi davano ragione; ma mi spiegavano che certe cose non le potevo dire, perché infrangevano il famoso paradigma. Si deve sempre diffidare di chi pretende di essere un dispensatore di verità, da accettare come dogmi di fede.

Si deve poter parlare di tutto: anche di Atlantide, e di altri continenti perduti. Perché mai, specie nella nostra civiltà occidentale, ci è sempre stato negato di conoscere un certo passato? Ho partecipato sul campo a tanti scavi archeologici (in Turchia, in Iran, in vari altri paesi) e conosco bene l’ambiente dell’archeologia. In effetti, tutto quello che non è coerente con i paradigmi vigenti, viene deliberatamente nascosto. Ci sono migliaia di reperti “scomodi” che sono stati distrutti. Ci sono siti “scomodi” che sono stati ricoperti e nascosti, addirittura vietandone l’accesso. E ci sono migliaia di reperti archeologici che vengono tuttora nascosti negli scantinati dei musei. E c’è un perché: danno fastidio. Potrebbero portare le persone a riflettere su altre sfaccettature della verità. Attraverso le civiltà antiche, ad esempio, si può arrivare a capire come si sono imposte le grandi religioni monoteistiche. Non voglio urtare la suscettibilità di nessuno, il mio atteggiamento è di grande rispetto; faccio però notare che Ebraismo, Cristianesimo e Islam hanno un comportamento dogmatico, esclusivistico.

Cavallo di Troia

Io parlo di tutto: anche di come un’antica civiltà, di impronta matriarcale (presente in Europa fino alla tarda Età del Bronzo), sia stata poi soppiantata da una nuova cultura, di tipo patriarcale, che ha stravolto completamente gli antichi schemi della società. Anche questo viene generalmente omesso, dalla storiografia: viene taciuto, perché “scomodo”. Ancora oggi, infatti, ci troviamo in una società patriarcale, e quindi è diventato scomodo (quasi eretico) parlare di quello che c’era prima, e spiegare perché l’antica società matriarcale sia stata sostituita con il modello patriarcale. La Guerra di Troia è stata una delle vicende più epocali della storia antica. Molti pensano che sia stata semplicemente una guerra commerciale, per il controllo del traffico marittimo tra l’Egeo e il Mar Nero. Niente di più falso: quella fu una guerra di religione, e di cultura. Fu veramente l’apice dello scontro fra matriarcato e patriarcato. La civiltà troiana era fondata sul matriarcato e sul culto delle antiche divinità, gli dèi Titani, mentre gli avversari incarnavano una società patriarcale e bellicosa. Gli Achei si scontrarono con Troia per eliminare una cultura avversa.

Il paradigma dominante deforma la storiografia anche riguardo al lungo arco del medioevo, a partire da quelle che sono state considerate eresie. Come mai il Cristianesimo ha considerato eretiche tante altre dottrine? Come mai è stata perseguitata quella che è stata chiamata stregoneria? Alludo a decine di migliaia di donne: non praticavano magia, non celebravano oscuri rituali; semplicemente, praticavano ancora un rapporto simbiotico con le forze della natura (come già le loro antenate, per millenni). Conoscevano le proprietà curative delle erbe, secondo una tradizione millenaria: perché sono state torturate e condannate al rogo come streghe? Bisogna riflettere, su tutti questi sconvolgenti aspetti del nostro passato: perché purtroppo non riusciremmo mai a comprenderlo a fondo, il presente che viviamo, e nemmeno il futuro che ci attende, se non conosciamo davvero il nostro passato, cioè tutti gli errori che abbiamo commesso, e soprattutto tutti gli inganni che ci hanno propinato.

Comalcalco

Vogliamo parlare di quella che è considerata la scoperta dell’America? Il mio ultimo libro si intitola “I Minoici in America e le memorie di una civiltà perduta”. A scuola ci hanno insegnato che l’America è stata scoperta da Cristoforo Colombo nel 1492. Una data simbolica, con la quale si vuole chiudere il medioevo e far iniziare l’età moderna. Ma poi, prove alla mano (dati archeologici), ci accorgiamo che in America ci sono andati tutti, prima di Colombo. Nel Gran Canyon del Colorado hanno trovato addirittura delle tombe egizie. Ovunque, in Brasile, le rocce sono piene di incisioni in lingua fenicia. Un manoscritto custodito nella biblioteca di Rio de Janeiro documenta il ritrovamento di un’antica città greca. Se andiamo in Messico, nel sito di Comalcalco (nella regione del Chiapas), sembra di essere a Ostia antica: è l’unica città dell’area Maya non edificata con pietre, ma con mattoni, secondo le tecniche edilizie romane. Mattoni con impressi i marchi dei fabbricanti, come usavano i costruttori romani (ci sono pure i loro nomi, infatti).

Sempre in Messico sono state trovate delle teste di terracotta prettamente romane. Monete romane sono state trovate ovunque, nel territorio americano. Addirittura, un capo indiano dell’importante tribù dei Nasi Forati, sconfitto nel 1878 dal neonato esercito degli Stati Uniti, prima di essere costretto a trasferirsi in una riserva insieme al suo popolo, volle donare un omaggio al generale che l’aveva battuto sul campo: era il ciondolo che portava al collo, con – incastonata – una tavoletta in terracotta di origine sumera, scritta in caratteri cuneiformi. La sua tribù se l’era tramandata, di generazione in generazione, da millenni. Questa tavoletta – oggi esposta in un museo, in America – è stata tradotta. E’ una banalissima tavoletta d’archivio, che contiene una transazione commerciale: è la ricevuta d’acquisto di alcune capre, comprate per compiere un sacrificio propiziatorio alla vigilia di un lungo viaggio. Quindi, qualcuno – in Mesopotamia – ha comprato delle capre e le ha sacrificate, forse per propiziare la fortuna in vista del lungo viaggio che stava per intraprendere; ma questo viaggio l’ha portato dall’altra parte dell’Oceano, insieme alla ricevuta d’acquisto delle capre: quella tavoletta è finita in America.

Le incisioni fenicie di João Pessoa in Brasile

In Bolivia, negli anni ‘80, è stato scoperto un grande vaso rituale in pietra, per libagioni e offerte votive, che al proprio interno ha iscrizioni in sumero: cuneiforme sumerico, come quello della tavoletta del navigatore. Gli esempi analoghi sono centinaia. In Canada, ad esempio, è pieno di iscrizioni celtiche. Poi sappiamo – perché è documentato – di una flotta salpata da Portovenere, vicino a La Spezia, nel 1442: una flotta di navi fiorentine, comandata da Amerigo Vespucci (non quello che conosciamo: era suo nonno, e anche lui si chiamava Amerigo). Il 4 luglio di quell’anno, questa flotta arrivò all’estuario del fiume San Lorenzo, sulla costa atlantica del Canada, cinquant’anni prima del viaggio di Colombo. Di queste cose non troverete notizia, nei libri di storia, perché l’America era uno dei massimi segreti di Stato della famiglia  Medici, che a Firenze iniziarono a importare l’oro americano: erano bravi banchieri, sapevano il fatto loro. Io ho trovato le prove di quel viaggio, e anche i nomi delle navi (che erano sette) e dei loro comandanti. La data di arrivo è stata tramandata, dai padri costituenti degli Stati Uniti: la festività del 4 Luglio non l’hanno creata a caso, ma in ricordo dell’arrivo delle navi fiorentine in America.

(Nicola Bizzi, dichiarazioni rilasciate nella video-conferenza “Ripensare la storia”, su YouTube il 1° aprile 2021, a cura della Libera Università di Nuova Pedagogia, presso cui lo stesso Bizzi, storico e editore di Aurora Boreale, terrà un corso on line di storia “divergente”, dal titolo “Ripensare la storia: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo”. Un ciclo di 15 incontri per riflettere e per comprendere le nostre origini e il nostro ruolo su questo pianeta, immaginando anche il futuro che ci attende. Per informazioni sulle modalità di partecipazione al corso, basta inviare un’mail a: nuovapedagogia@gmail.com).