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Luciano di Samosata e i primi viaggi spaziali

Luciano di Samosata (Λουκιανός ὁ Σαμοσατεύς), scrittore, retore e filosofo siro di lingua greca, celebre per la sua arguzia e per la forte irriverenza dei suoi corrosivi scritti satirici, è stato uno dei più eclettici e poliedrici autori che caratterizzarono il II° secolo d.C., e specialmente il periodo della Seconda Sofistica. Vicino all’Epicureismo, ci ha lasciato delle opere fondamentali della letteratura romana imperiale, tra cui la Storia Vera, un racconto onirico-visionario e fantastico di viaggi al di là delle Colonne d’Ercole e addirittura nel cosmo, i Dialoghi degli Dei, i Dialoghi marini, i Dialoghi dei morti, i Dialoghi delle cortigiane, e il trattato Come si deve scrivere la storia, un’esortazione ad una storiografia fondata sull’obiettività e lontana da ogni forma di adulazione dei potenti. Le sue opere sono in genere caratterizzate da un sottile intento critico e da una marcata vena satirica nei confronti delle scuole ufficiali così come dei pregiudizi dell’opinione volgare.

Tra le sue tante attività, si dedicò anche alla raccolta di storie e leggende della tradizione greca ed orientale. Emblematico a riguardo è il suo trattato De Dea Syria, dedicato al sentimento religioso e ai culti della sua terra natia e incentrato sulla misteriosa figura della Dea Atargatis, molto venerata nelle provincie orientali dell’Impero. E a quanto pare fu lui a “creare” la figura di Filippide, il soldato greco che corse ad Atene dopo la battaglia di Maratona senza fermarsi per poter annunciare Nike! Nike!” (“Vittoria! Vittoria!”) e spirare subito dopo.

Luciano nacque intorno al 120 d.C. a Samosata (l’odierna Samsat, nella Turchia sud-orientale), un’antica e florida città della provincia romana della Siria, che vantava un passato da capitale dell’antico regno armeno-ellenistico di Commagene (caduto per mano di Vespasiano nel corso del I° secolo), in una modesta famiglia siriaca. Benché, con ogni probabilità, fosse di madrelingua siriaca (come al tempo lo era la maggioranza della popolazione locale), egli produsse tutto il corpus della propria opera in Greco, con la maggior parte dei propri scritti redatti in dialetto attico, alquanto in voga durante il periodo della Seconda Sofistica, rivolgendosi quindi essenzialmente ad un pubblico di lingua e cultura greca. Ciò nonostante, egli in vita non si definì mai “greco”, pur dimostrando tutta una serie di caratteristiche della propria personalità intellettuale indubbiamente ellenistiche, né tantomeno “romano”, e non rinnegò mai le proprie origini “barbare”; anzi, spesso e volentieri concentrò la propria invettiva satireggiante proprio sulle tante differenze ed aspetti contrapposti tra la sua cultura natía e quella greca e tra queste due e la nuova componente romano-latina.

Stando a quanto da egli stesso asserito in una sua orazione, Il Sogno, da giovane ebbe, seguendo la tradizione della famiglia materna, una breve e deludente esperienza nel laboratorio di scultura dello zio, dal quale il futuro scrittore fu cacciato dopo aver distrutto una lastra di marmo che doveva essere sgrossata. Scoperta dunque la propria vocazione letteraria, egli studiò presso i sofisti dell’epoca, nell’Asia Minore ionica, la grammatica e la retorica, assicurandosi una perfetta assimilazione della lingua Greca e dei principi culturali dell’Ellenismo.

Successivamente fece moltissimi viaggi, in qualità di maestro di retorica e conferenziere o come ambasciatore della sua città natale, in Asia Minore, Grecia, Italia e Gallia. Inoltre svolse l’attività di avvocato in Antiochia di Siria (155-158). Nel 159 fu inviato come ambasciatore a Roma, dove ebbe l’occasione di entrare in contatto con il filosofo medioplatonico Nigrino, da cui fu influenzato. Tornato nel 160 ad Antiochia, vi rimase fino al 162, pur recandosi talvolta in Grecia. Dal 173 al 176, in veste di segretario della Cancelleria imperiale, si trasferì in Egitto. Dopo questo incarico sappiamo che si stabilì definitivamente ad Atene, dove morì in una data imprecisata tra il 180 e il 192.

La Storia Vera (Ἀληθῆ διηγήματαì, Alēthê diēghémata, propriamente “Storie vere”), è l’opera più celebre di Luciano ed è considerata il suo capolavoro e al contempo uno dei testi più interessanti della letteratura greca di età romana imperiale. Si tratta di un’opera narrativa in due libri, un vero e proprio romanzo fantastico (è stato giudicato il primo romanzo di fantascienza della storia), con sorprendenti tratti ironici e parodistici, ma non per questo scevro di profondi contenuti mitici, simbolici e allegorici.

La stesura del testo viene ascritta all’ultima fase della produzione lucianea, attorno al 180 d.C. Potrebbe quindi essere di poco posteriore a una delle ultime opere di Luciano, Come si deve scrivere la storia, trattatello che denuncia l’eccessiva adulazione, piaggeria e falsità della storiografia imperiale a lui contemporanea. Agli storiografi intenti a scrivere una storia agiografica e scadente, più fantasiosa che altro, sulla guerra tra l’Imperatore Lucio Vero e Volgese III° di Armenia (162-165 d.C.), Luciano rispose per antifrasi umoristica, con un racconto intessuto di iperboliche gesta, fantastiche invenzioni, colossali menzogne, del tutto oneste, però, perché dichiarate come tali fin dal proemio. Bersaglio di Luciano non sono solo gli storiografi, ma anche gli scrittori di racconti fantastici, citati nel proemio: Ctesia di Cindo, Erodoto, Iambulo, e persino Omero, il cui Ulisse, a suo dire, si dimostra maestro nell’arte della cialtroneria. L’intento di Luciano non è quello di screditare tali autori, ma di mostrare che nell’invenzione fantastica, in letteratura, può non esserci alcun limite. E riesce a farlo in maniera esemplare, tanto che Luciano si può considerare il vero εὑρετὴς del romanzo fantastico, un genere che tanto seguito avrebbe avuto letteratura dei secoli successivi: dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto alle peripezie dei giganti Gargantua e Pantagruel dei romanzi di François Rabelais, dalle paradossali e incredibili Avventure del Barone di Münchhausen di Rudolf Erich Raspe ai Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. Per non parlare di Richard Adams Locke, con il suo capolavoro Delle scoperte fatte nella Luna del dottor Giovanni Herschel, del genio creativo di Jules Verne, autore di opere quali Dalla Terra alla Luna, Viaggio al centro della Terra e Ventimila leghe sotto i mari, o delle opere di Charles Nodier e Herbert George Wells. Anche se forse, ad aprire il filone, furono Dionisio di Mileto, con il suo Viaggio ad Atlantide (opera considerata perduta fino al 1962, poi fortuitamente ritrovata e, infine, nuovamente fatta scomparire in circostanze mai chiarite), Antonio Diogene, con Le incredibili meraviglie al di là di Tule, e Apollonio Rodio con le sue Argonautiche. Tre opere, queste, che molto probabilmente sono state per Luciano una preziosa fonte d’ispirazione.

Non a caso, tutti gli autori che abbiamo sopra elencato, senza eccezione alcuna, furono anche degli iniziati. E, nelle loro opere – come d’altronde avviene anche per Luciano -, il fantastico spesso si rivela, più che un genere letterario fine a se stesso, un mezzo, un vero e proprio strumento, per veicolare e comunicare precisi messaggi a chi detiene le corrette chiavi di lettura per comprenderli. Esattamente come avveniva per molti pittori del Rinascimento.

La Storia Vera di Luciano è un testo che non finisce mai di stupire il lettore, neanche dopo molteplici letture. Allo stesso modo in cui un’opera come Le Metamorfosi (o Asino d’oro) di Lucio Apuleio anticipa situazioni, simboli, messaggi e allegorie poi utilizzate dal libero muratore Carlo Lorenzini in Pinocchio, Luciano riprende, utilizza e spesso anche anticipa molti topos letterari e molte simbologie della mitologia, della Tradizione e della letteratura (dall’attraversamento delle Colonne d’Ercole al ventre della balena, dai Campi Elisi alla Terra dei Beati, dal Continente degli Antipodi alle guerre spaziali e ai viaggi sulla Luna).

Nel prologo Luciano afferma che racconterà una storia fantastica per rinfrescare la mente da letture più impegnative e che l’unica cosa vera del racconto è che è tutto falso. L’autore inizia, quindi, nel Primo Libro, con la descrizione del suo viaggio immaginario assieme a cinquanta compagni oltre le Colonne d’Ercole, animato come Odisseo dal desiderio di conoscere cose nuove. Subito l’equipaggio è colto da una tempesta di vento che sballotta la nave per settantanove giorni finché all’ottantesimo, al termine della tempesta, riescono a sbarcare su un’isola misteriosa. Scoprono una colonna di bronzo con un’iscrizione greca che attesta che Eracle e Dioniso hanno viaggiato fin lì e impronte di piedi giganti. Qui si imbattono in un fiume di vino dove nuotano pesci che ne prendono il sapore e in un gruppo di esseri che hanno forma di viti dai fianchi in giù e di donne dai fianchi in su.

Lasciata quest’isola, la nave si imbatte in un tifone e viene sollevata in aria fino a tremila stadi d’altezza. Dopo otto giorni di volo finisce in una terra vasta come un’isola, splendente e sferica e illuminata da una grande luce: la Luna. Sbarcati sulla superficie lunare, Luciano e i suoi compagni sono catturati dagli Ippogrifi (uomini che cavalcano enormi avvoltoi) e portati al cospetto del re selenita Endimione, che si trova impegnato in una guerra contro il re del Sole Fetonte per la colonizzazione di Vespero, Venere. Questa “guerra stellare”, combattuta da guerrieri improbabili come i Caulomiceti, armati di funghi come scudi e di gambi di asparagi come lance, o come gli Psyllotoxoti, che cavalcano pulci grandi come dodici elefanti, è vinta dall’esercito del Sole. Luciano e i suoi compagni, che avevano combattuto alleati con i Seleniti sono fatti prigionieri e portati sul Sole. La loro prigionia non dura molto, e una volta liberi decidono di tornare sulla Terra nonostante Endimione cerchi di trattenerli con sé promettendogli grandi onori.

Prima di riprendere la narrazione del suo viaggio, Luciano dichiara di riferire «le cose nuove e straordinarie» che ha avuto modo di osservare durante il suo soggiorno sulla Luna, iniziando una minuziosa quanto inverosimile descrizione dell’aspetto e delle abitudini dei Seleniti, come l’assenza di donne e la nascita dei bambini dai polpacci degli uomini.

La nave torna infine sulla Terra, ma viene inghiottita da una gigantesca balena di millecinquecento stadi di lunghezza. Al suo interno Luciano e i suoi compagni trovano un’isola abitata da fantastiche tribù. L’equipaggio le stermina tutte e, dopo un anno e nove mesi dall’apertura della bocca del mostro, i protagonisti assistono a una incredibile battaglia tra giganti che su isole lunghe remano come se queste fossero navi.

Nel secondo Libro Luciano e i suoi brancaleoneschi argonauti cercano una soluzione per riguadagnare il mare aperto. Sperimentano vari stratagemmi per evadere e infine appiccano un risolutivo incendio che, dopo alcuni giorni, quando l’animale è ormai morente, permette loro di far uscire la nave attraverso la bocca aperta del mostro marino. Attraversano quindi un mare di latte, scoprono un’isola di formaggio e le Isole dei Beati, governate dal cretese Radamante, dove incontrano Omero, Ulisse, Socrate, Pitagora e altri famosi personaggi. Quindi salpano e giungono presso un’isola dove vengono trattenuti da personaggi come Ctesia ed Erodoto, eternamente puniti per le “menzogne” da loro narrate. Quindi giungono presso l’isola dei sogni, dove rimangono trenta giorni, per poi approdare Dopo all’isola di Ogigia, dove consegnano a Calipso, da parte di Odisseo, una lettera in cui l’eroe spiega che avrebbe preferito rimanere con lei per poter vivere in eterno. Quindi riprendono la navigazione, giungendo presso una voragine nell’Oceano profonda mille stadi, ma riescono a superarla remando faticosamente su un ponte d’acqua che unisce le due sponde e si ritrovano finalmente in acque tranquille.

Dopo aver avvistato altre isole, scoprono infine un continente (verosimilmente l’America!). Mentre discutono se sbarcare per poco tempo o inoltrarsi nell’entroterra per esplorare questo nuovo mondo, una burrasca sbatte la nave sul lido distruggendola e condannando i malcapitati a restare lì. Il romanzo a questo punto si conclude improvvisamente, con la promessa di raccontare le successive avventure dei nostri eroi in libri seguenti, che Luciano non sembra però aver mai scritto.

Le Edizioni aurora Boreale ripropongono oggi ai lettori la Storia Vera nella traduzione dal Greco di Luigi Settembrini (1862), lasciando inalterate sia le note che denominazioni latine (in luogo di quelle elleniche del testo originale) dei personaggi da questi adottate.

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Guerre spaziali su Pianeta Scuola

In qualità di editore, ma soprattutto di storico e ricercatore nel campo delle Scienze Umane e – mio malgrado – anche di insegnante, mi sento particolarmente orgoglioso di aver dato alle stampe un nuovo straordinario saggio di Giuseppe Mosco. Guerre Spaziali su Pianeta Scuola non è un semplice libro di Pedagogia, ma riveste tutte le caratteristiche di un vero e proprio trattato di Sociologia, Antropologia e Psicologia, e al contempo di manuale per famiglie e docenti.

Alla luce della forte spinta totalitaria e della sistematica demolizione delle libertà costituzionali e dei più inalienabili diritti civili che ha caratterizzato gli ultimi anni, soprattutto a partire dal Febbraio del 2020, sempre più persone hanno preso coscienza di una realtà che fino a non molto tempo fa veniva denunciata da pochi coraggiosi scrittori e giornalisti troppo facilmente e semplicisticamente bollati dal “sistema” come “complottisti”. Vale a dire che quelle che soprattutto nel cosiddetto “Occidente” – si sono sempre presentate agli occhi dei cittadini come democrazie sono in realtà delle bieche e spietate oligarchie, delle corporation, totalmente asservite a poteri e organizzazioni sovranazionali. L’intera classe politica dell’Occidente, senza eccezione alcuna, è infatti composta da marionette totalmente al servizio di poteri economici e finanziari e di cartelli che gestiscono i settori energetico, farmaceutico e agro-alimentare, vale a dire i principali pilastri che determinano oggi la vita umana. E, per meglio poter gestire tali settori, certi poteri esercitano il più assoluto controllo anche sull’informazione (televisione, internet, giornali), sulla magistratura e sul mondo dell’educazione, vale a dire sul sistema scolastico, dalla scuola materna all’università.

Perché avviene tutto questo? La risposta è tanto semplice quanto inquietante: affinché vengano portati a compimento i piani di un Nuovo Ordine Mondiale distopico e totalitario, in cui non esisteranno più libertà e diritti civili e in cui gli esseri umani dovranno essere solo obbedienti ingranaggi del sistema sottoposti a costante videosorveglianza, a schiavitù digitale e a un meccanismo di credito sociale, occorre che venga definitivamente demolito il senso critico attraverso l’indottrinamento, la propaganda e la programmazione neuro-linguistica, occorre che venga eliminato ogni dissenso e che i tribunali siano compiacenti nella difesa delle leggi repressive e liberticide, e occorre soprattutto plasmare le nuove generazioni secondo i dettami del potere.

Nel 2020 il “sistema” si è tolto definitivamente la maschera (e ha ritenuto di imporla ai cittadini sulla base di un presunto e aleatorio “bene comune”), mostrando il suo vero volto: il volto di un potere che non esita a ricorrere al ricatto, alle minacce, alle intimidazioni, alla violenza, sia fisica che psicologica, all’apartheid, alla discriminazione, all’esclusione sociale, alla criminalizzazione e ostracizzazione di ogni dissenso, di ogni libero pensiero. Un potere per il quale – come già diversi anni fa denunciava profeticamente Marco Della Luna – i popoli sono ormai ritenuti superflui, masse di “mangiatori inutili” che devono essere irreggimentati, spogliati delle loro risorse e infine condotti docilmente al macello dal “buon pastore” di turno. Nella società post-industriale e digitale, nel mondo distopico pianificato dal World Economic Forum, dall’OMS e da altri poteri autoreferenziali, non c’è infatti più spazio per le masse, che un tempo costituivano forza lavoro e mano d’opera a basso costo, oppure utile carne da cannone in caso di guerra. Il gregge umano quindi deve essere tosato e sfoltito, a qualunque costo.

Le principali vittime di questo sistema, soprattutto durante gli anni del colpo di stato globale “pandemico” (che ha rappresentato una sorta di stress-test e di prova generale di ulteriori mosse totalitarie) si sono rivelati i giovani, in particolare gli adolescenti e i bambini. Costretti a indossare museruole, intimoriti dagli stessi insegnanti (e con il beneplacito di incoscienti e sconsiderati genitori) sotto la minaccia di un fantomatico “nemico invisibile”, condannati alla segregazione e all’isolamento, a rinunciare forzatamente al gioco, agli affetti e al contatto con i propri coetanei, i bambini sono stati indubbiamente quelli che negli ultimi anni più hanno sofferto, riportando traumi psicologici difficilmente cancellabili. Nessuno potrà restituire a questi bambini tre anni di vita che un regime criminale ha loro sottratto con metodico sadismo e pianificazione. Lo stesso regime che oggi pretende, con il suo sistema scolastico, di plasmare le loro coscienze fino alla perdita definitiva del senso critico e alla totale accettazione di modelli ideologici e sociali anti-umani. Modelli che prevedono la distruzione della cultura umanistica e dello schema sociale tradizionale fondato sulla famiglia, la riscrittura in senso orwelliano della Storia e il totale indottrinamento.

Occorre, oggi più che mai, prima che sia troppo tardi, gettare le basi per una nuova Pedagogia e fornire ai giovani e alle loro famiglie utili strumenti di apprendimento che siano decondizionanti e correttamente formativi.

Alla luce di tutto questo, il saggio di Giuseppe Mosco può rappresentare un’arma preziosa per la difesa dei nostri figli e del loro futuro. Perché il loro futuro, non dimentichiamocelo, è il futuro del mondo. E lo dico da padre.

Il libro inizia con una metaforica storia fantasy, per poi arrivare ad affrontare il mondo della scuola attraverso l’analisi delle trappole in cui esso è già caduto o in cui ancora rischia ulteriormente di sprofondare.

C’era una volta un piccolo pianeta chiamato Scuola, che orbitava nella Galassia di Matrioska. Questo mondo, pur posizionato a diversi anni luce dal nostro, era conosciuto da tutti su Terra grazie alla sua cultura millenaria. 

La presenza su di esso di un enorme faro, secondo solo a quello mitologico di Alessandria, lo aveva reso un luogo leggendario in tutto l’universo. Scuola era la meta di riferimento di tutti i viandanti dello spazio, un posto su cui fermarsi, acquisire conoscenze, orientarsi e recuperare le giuste energie, prima di ripartire.

Sul pianeta regnavano pace, conoscenza e armonia, ma dopo la barbara invasione dei Saturniani quel luogo non fu più lo stesso.

Gli abitanti di Saturno erano chiamati anche pirati neri e navigavano per lungo e per largo il cosmo, in cerca di viaggiatori persi da depredare. In questa ottica il pianeta Scuola era divenuto una seria minaccia per le economie di questi criminali e quindi andava annientato.

Questi cacciatori spietati navigarono a velocità di curvatura su astronavi invisibili e, una volta raggiunta l’atmosfera del brillante pianeta, lo attaccarono su più fronti.

Attraverso l’uso di armi supertecnologiche in grado di liquefare anche la pietra, sciolsero tutti i monumenti e i simboli più importanti, anche la luce del faro leggendario improvvisamente svanì.

Dalla nave madre furono lanciate milioni di piccole capsule rettangolari contenenti il virus della paura chiamato “mainstream”. Il Virus lanciato espose l’intero mondo al panico e la paura dilagò. 

Nel giro di qualche anno scolastico, il terrore raggiunse le tribù più storiche, ma quella che ne rimase più colpita fu quella dei “Maestri Acritici”, abitanti del pianeta che avevano spento le loro passioni, già ben prima della guerra, vivendo nel credo di un Dio del denaro e del benessere, chiamato Twenty-Seven.

I Saturniani da invisibili lentamente occuparono tutto quello che poterono e si mostrarono al pianeta con le loro flotte, solo dopo che il cielo si riempì. Tutto finì sotto il loro pieno controllo ma la popolazione distratta dal mainstream neanche alzando gli occhi in alto capì.

Nel caos generale creatosi nella stratosfera la luce divenne fioca e il loro sole sbiadì.

Come nel famoso film dei Caraibi, i pirati attesero la notte e mentre tutti dormivano salparono sul pianeta e iniettarono a tutti un robotizzante microchip.

Un’operazione andata a buon fine se non fosse stato per coloro che quella sera, avendo uno strano sentore, rimasero vigili e non dormirono.

L’invasione aliena aveva cambiato la percezione delle cose sul pianeta e, improvvisamente, il brutto venne compreso come bello, il solido divenne liquido, le relazioni divennero banali, la speranza si trasformò in disperazione e tutto in esso mutò…

Al di là di questa storia fantasy – metaforica, sì, ma decisamente azzeccata – tra le varie insidie del vigente sistema scolastico il saggio di Giuseppe Mosco affronta la situazione dell’apprendimento e di come le vecchie e nuove visioni distorte di chi la conduce politicamente stiano portando ad un forte e potenzialmente irreversibile regresso sociale. D’altronde, si sa, una società culturalmente povera e caratterizzata dall’omologazione e dall’analfabetismo funzionale, risulta molto più condizionabile e manipolabile.

Guerre Spaziali su Pianeta Scuola è un saggio che, rivolto non solo agli insegnanti ma anche e soprattutto ai genitori, può costituire un utilissimo strumento di riflessione per difendere le nuove generazioni dal transumanesimo, dall’omologazione e dai sempre più pressanti condizionamenti pseudo-sanitari e “pandemici”, della cancel culture e dei falsi e fuorvianti miti delle ideologie woke, gender e green. Per riscoprire la più autentica e imprescindibile dimensione umana.

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Rifiuti tossici e segreti di Stato – Nicola Bizzi

di Nicola Bizzi

Articolo pubblicato su Signoraggio.it il 13 Novembre 2013 e in seguito incluso nel saggio Nuovo Disordine Mondiale (Edizioni Aurora Boreale, Firenze 2020)

Finalmente sono stati svelati i nomi dei responsabili dell’applicazione del Segreto di Stato sull’ecatombe ambientale della Campania. Le sconvolgenti rivelazioni del boss pentito Carmine Schiavone sullo smaltimento clandestino in vaste zone della regione di rifiuti tossici e radioattivi e la recente diffusione dell’inchiesta condotta dalla U.S. Navy sullo stato di pericolosità dei terreni coinvolti in questi traffici e sulla relativa contaminazione delle falde acquifere, di cui mi sono occupato in precedenti miei articoli, non possono fare a meno di farci riflettere sui veri responsabili di questa criminale ecatombe ambientale. Non mi sto riferendo soltanto alle responsabilità “materiali” dei clan che per decenni hanno prosperato con il business dei rifiuti, con la complicità e la connivenza di industriali e piccoli esponenti locali della politica. Esistono, infatti, responsabilità ben maggiori: le responsabilità di quelle alte cariche dello Stato e delle istituzioni che, pur sapendo come stavano le cose, hanno taciuto, nascondendo per anni al popolo italiano la verità, non avviando le bonifiche necessarie e occultando tutto agli occhi dell’opinione pubblica con l’imposizione del Segreto di Stato.

In Italia, oltre ad essere tutti schedati, controllati e intercettati come in pochi altri paesi al mondo, siamo anche vittime di una sistematica occultazione della verità su tutte le questioni più rilevanti, con l’indiscriminata applicazione del Segreto di Stato, una abominevole pratica che è stata applicata anche in merito alle dichiarazioni di Carmine Schiavone, che, verbalizzate nel 1993, vennero secretate dal primo Governo Prodi nel 1997, rimanendo tali per sedici lunghi anni. É infatti soltanto questo mese che il vincolo del segreto è venuto meno e abbiamo finalmente potuto conoscere la tragica portata di questa vicenda.

Ma che cos’è il Segreto di Stato? Si tratta di un vincolo giuridico che determina l’esclusione di una notizia dalla divulgazione, ponendo delle sanzioni verso chiunque violi a riguardo il vincolo del silenzio. Una pratica che, nonostante entri pesantemente in conflitto con i fondamentali diritti civili garantiti da tutte le costituzioni dei paesi civili (come ad esempio la libertà di informazione, il diritto alla sicurezza, alla salute e alla difesa dei cittadini), viene applicata con sempre maggiore frequenza, offendendo in tal modo la dignità e l’intelligenza di interi popoli.

Il Segreto di Stato, inoltre, è uno dei pochi atti legittimi di competenza di governi o parlamenti che non possiede i requisiti di generalità e universalità propri delle leggi, e che al contrario riguarda singoli fatti e persone, che sono tipicamente ambiti di azione di altri soggetti come la magistratura e la stampa. Può consistere nel divieto di pubblicare determinate informazioni, o di prendere visione di documenti, oggetti, luoghi o persone che portino a conoscenza di informazioni riservate. E può essere deliberato in via preventiva, senza atti in corso che comportino questo tipo di rischi, ovvero a seguito di una richiesta formale a procedere da parte della magistratura, o nel corso di indagini di polizia o di inchieste giornalistiche.

Tale obbligo di non divulgazione viene posto su una determinata notizia tramite una procedura avente valore di principio fondamentale costitutivo e riguardante un numero finito di informazioni la cui divulgazione potrebbe costituire limitazione di sovranità nazionale o della sicurezza di popolazioni civili e di risorse. Il segreto può riguardare fatti di natura militare, civile o politica. Secondo alcuni critici la segretezza dei documenti può ledere il diritto di cronaca dei giornalisti e il diritto d’informazione dei cittadini, così come le sanzioni per chi entra in possesso di taluni documenti e li pubblica, possono tradursi in una forma di censura che lede la libertà di stampa.

Per contro i suoi sostenitori argomentano che in certi casi pubblicare alcune informazioni potrebbe causare danni di portata ben più vasta rispetto all’occultamento stesso, e che quindi il segreto di stato sia una pratica da usare con parsimonia, ma talvolta necessaria.

In Italia il Codice Penale considera due livelli di segreto: segreto in senso proprio e vietata divulgazione.

Mentre il segreto militare è stato regolamentato già nel 1941 dal Regio Decreto n. 1161 a firma di Vittorio Emanuele III° e Benito Mussolini, il Segreto di Stato è stato formalmente introdotto dalla legge n. 801 del 24 Ottobre 1977 (“Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del Segreto di Stato”) e successivamente perfezionato da due decreti ministeriali (il D.M. 1406/1995 n. 519 per la Difesa e il D.P.C. 1003/1999 n. 294 per i Servizi Segreti) e, infine, dalla legge n. 124 del 3 Agosto 2007 (“Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto”), che, ispirata da proposte di Giuseppe Cossiga, ridisciplinò radicalmente le funzioni specifiche dei singoli addetti, precisandone le responsabilità funzionali. Con tale legge vennero definite le aree di competenza del personale, stabilendo aree dove esso è autorizzato ad agire e aree dove invece non lo è, superando rilevanti incertezze che erano state fonti di polemiche nel passato. Essa ha introdotto l’articolo 270-bis del Codice di Procedura Penale. Ai sensi di tale norma (inserita in tutta fretta in seguito alla vergognosa vicenda del rapimento dell’imam Abu Omar) l’autorità giudiziaria – quando abbia acquisito, tramite intercettazioni, comunicazioni di servizio di appartenenti al Dipartimento per le Informazioni sulla Sicurezza o ai Servizi di Informazione per la Sicurezza – dispone l’immediata secretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti tali comunicazioni.

La legge stabilisce però che il Segreto di Stato debba decadere dopo 15 anni; tale termine può essere prorogato dal Presidente del Consiglio (o dalle altre autorità competenti), ma non può mai, in ogni caso, superare i 30 anni. Sappiamo benissimo però che esistono casi, come ad esempio quello del disastro di Ustica, sui quali il segreto persiste ad oltranza, in spregio quindi non solo alle leggi stesse di questo Stato, ma anche alla sete di verità e giustizia dei parenti delle vittime.

Un ulteriore giro di vite sulla repressione e l’occultamento delle verità scomode è stato dato il 16 Aprile 2008, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 Aprile, che definisce gli “interessi supremi da difendere con il Segreto di Stato”: «l’integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali; la difesa delle Istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento; l’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e le relazioni con essi; la preparazione e la difesa militare dello Stato».

La Corte Costituzionale, con una sentenza dell’11 Marzo 2009 (n. 106), si è pronunciata escludendo il sindacato giurisdizionale sull’individuazione delle notizie che possano costituire Segreto di Stato, pronunzia che è stata definita “scandalosa” da molti costituzionalisti.

Secondo la Corte, «l’individuazione degli atti, dei fatti, delle notizie che possono compromettere la sicurezza dello Stato e che devono rimanere segreti» costituisce il risultato di una valutazione “ampiamente discrezionale”. Deve pertanto escludersi ogni sindacato giurisdizionale, in quanto «è inibito al potere giurisdizionale di sostituirsi al potere esecutivo e alla pubblica amministrazione, e di operare il sindacato di merito sui loro atti». L’esercizio del potere di secretazione sarebbe quindi assoggettato al solo Parlamento, «sede normale di controllo nel merito delle più alte e più gravi decisioni dell’esecutivo», attraverso il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (Copasir, già Copaco).

Con la stessa pronuncia, la Corte Costituzionale ha esteso anche agli agenti indagati quanto previsto dall’art. 41 della legge 124/2007, ossia che «ai pubblici ufficiali, ai pubblici impiegati e agli incaricati di pubblico servizio è fatto divieto di riferire riguardo a fatti coperti da segreto di Stato», permettendo così a Marco Mancini di evitare il giudizio in riferimento allo scandalo “Telecom-SISMI”.

Da Ustica fino alle scie chimiche, passando per le vicende dell’Italicus, di Abu Omar e Niccolò Pollari, non è facile reperire una lista completa ed esaustiva di tutti i casi in cui il Segreto di Stato è stato imposto negli ultimi decenni dai vari Governi che si sono succeduti, ma devo rilevare che Silvio Berlusconi ha battuto ogni record, intensificando come non mai l’uso di questa vergognosa pratica, arrivando all’imposizione del Segreto di Stato persino sui lavori della sua villa privata in Sardegna (Villa Certosa).

L’utilizzo estensivo del Segreto di Stato in particolare durante il Governo Berlusconi IV ha sollevato numerose critiche, fra cui quelle di Felice Casson, secondo il quale «è invalso un uso esagerato e non corretto dell’apposizione del Segreto di Stato», e si dimenticherebbero «gli interessi costituzionalmente protetti in gioco: l’accertamento della verità su fatti gravissimi e l’esercizio della giurisdizione». «Il messaggio che passa – sempre secondo Casson – è che i servizi segreti possono fare quello che vogliono, tanto poi possono appellarsi al segreto e tutto finisce lì».

Ho voluto fare un po’ di cronistoria, certo comunque di non avervi annoiati, per poter adesso focalizzare meglio l’attenzione sulla vicenda campana dei rifiuti tossici e per capire come è stato possibile che le dichiarazioni rilasciate da Carmine Schiavone durante l’audizione alla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse siano state secretate, e quindi tenute deliberatamente nascoste all’opinione pubblica, per ben sedici anni.

Chi, e soprattutto perché, sono stati i responsabili di questo criminale occultamento della verità che è costato la vita, in tutto questo tempo, a migliaia di ignari cittadini morti di cancro per aver continuato a risiedere nelle aree contaminate e per aver continuato a nutrirsi dei frutti di quelle martoriate terre?

Giampaolo Rossi, in un suo coraggioso articolo appena pubblicato sul blog di informazione indipendente Wilditaly, ha fatto nomi e cognomi, individuando i principali responsabili del secretamento di questa gravissima vicenda. Persone che erano ai vertici delle istituzioni e, soprattutto, nei ruoli chiave che hanno riguardato le questioni giudiziarie di quel periodo e, inevitabilmente, anche le dichiarazioni di Schiavone. Personaggi che sapevano, o che comunque «non potevano non sapere» e che hanno deliberatamente preso la decisione di non parlare, di nascondere all’opinione pubblica quello che forse è il peggiore disastro ambientale della storia italiana e di tacere informazioni che erano indispensabili per proteggere la salute delle persone residenti nelle zone contaminate da micidiali rifiuti tossici e radioattivi.

Ebbene, l’audizione di Carmine Schiavone risale al 7 Ottobre del 1997. Il Presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta era Massimo Scalia, allora Deputato del Gruppo Misto. I membri della Commissione, presenti all’audizione del boss erano: Gianfranco Saraca (Forza Italia), Giovanni Lubrano Di Ricco (Verdi-Ulivo), Roberto Napoliu (Cristiani Democratici) e Giuseppe Specchia (Alleanza Nazionale).

Presidente della Repubblica era in quel momento Oscar Luigi Scalfaro. Presidente del Consiglio era Romano Prodi e Segretario del Consiglio dei Ministri era Enrico Luigi Micheli. Al Ministero dell’Interno sedeva Giorgio Napolitano (in carica dal 17 Maggio 1996 al 21 Ottobre 1998), mentre Giovanni Maria Flick occupava il Ministero di Grazia e Giustizia. Edoardo Ronchi era il Ministro dell’Ambiente, e Presidente della Corte Costituzionale era in quei giorni Renato Granata. Vice Presidente del Consiglio era Walter Veltroni, mentre alla Presidenza della Camera e del Senato sedevano rispettivamente Luciano Violante e Nicola Mancino.

Non c’è che dire: proprio una bella compagnia! Questi sono, come rileva Giampaolo Rossi, i nomi dei personaggi che hanno deciso, favorito (o comunque non impedito) l’imposizione del Segreto di Stato.

Rossi non è stato in grado di individuare con certezza chi fosse in quel momento il Direttore del COPACO, il Comitato che ha preceduto il COPASIR, nato nel 2007, ma ci dimostra comunque chi fosse in quel momento il Segretario Generale del CESIS (Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza): Francesco Berardino. La maggior parte di questi personaggi riveste tutt’oggi ruoli di primo piano nella politica italiana e nelle istituzioni della Repubblica. In un paese “normale” avrebbero avuto almeno la dignità di dimettersi, prima di finire magari sotto processo. In paesi come la Cina o l’Iran difficilmente avrebbero evitato il plotone di esecuzione o l’impiccagione. In Italia, dove invece tutto è consentito, purché avvenga alla faccia del Popolo, il silenzio regna sovrano. Ma si tratta di un silenzio assordante, un silenzio mortale, come le esalazioni che emanano dal sottosuolo nelle zone contaminate dai Casalesi.

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Quando Giorgio Napolitano non si accorgeva del “grande traffico” che avveniva sotto di lui – Nicola Bizzi

QUANDO GIORGIO NAPOLITANO NON SI ACCORGEVA DEL “GRANDE TRAFFICO” CHE AVVENIVA SOTTO DI LUI

di Nicola Bizzi

Articolo pubblicato su Signoraggio.it il 19 Gennaio 2014 e successivamente incluso nel saggio Nuovo Disordine Mondiale (Edizioni Aurora Boreale, Firenze 2020)

Per capire il presente, occorre conoscere bene il passato: riascoltiamo come Bettino Craxi, al processo Cusani nel 1993, inchiodava Giorgio Napolitano alle sue responsabilità sui copiosi finanziamenti da fonti illegali che riceveva il PCI.

Sono passati ormai ventidue anni dall’avvio dell’inchiesta “Mani Pulite” della Procura di Milano, che scatenò il più grande terremoto politico della nostra storia repubblicana, quello di “Tangentopoli”, che decapitò per via mediatico-giudiziaria tutta la classe politica di allora (ad eccezione del PCI-PDS) e decretò la morte della cosiddetta “Prima Repubblica”.

Nonostante le tenaci resistenze di alcuni giornalisti prezzolati “di regime” che, forti della tessera del PD che hanno in tasca, pretendono ancora di avere il monopolio sulla verità, appare ormai chiaro, a distanza di oltre un ventennio, che l’operazione “Tangentopoli” fu un vero e proprio golpe istituzionale, preparato a tavolino fin dal 1989. Un golpe che, puntando sulla mediaticità di processi-spettacolo e sullo scatenamento di un’ondata di isteria giustizialista collettiva, vide in azione nel nostro Paese, con la sicura regia di forti potentati finanziari di oltreoceano, un pericoloso asse composto dal PCI-PDS e dalla grande industria ad esso vicino, da una certa magistratura politicizzata e dal cosiddetto “quarto potere”, quello dei media. Un asse il cui obiettivo era portare al governo della Nazione quella parte politica che era stata incoronata come principale referente della grande finanza internazionale e dei potenti circoli di potere sovranazionali e transnazionali (Bilderberg, Pinay, ERT Europe, Trilaterale, etc.). C’era infatti un intero Paese da macellare e da svendere ai signori dell’usurocrazia mondiale, c’erano le lucrose privatizzazioni da fare, c’era da dare il colpo definitivo alla nostra sovranità monetaria con la definitiva privatizzazione della nostra Banca Centrale, c’era da far entrare l’Italia nel già preparato e già tracciato percorso della moneta unica europea. E la classe politica di allora, che sicuramente “rubava” (né più né meno del PCI), ma che almeno lo faceva nell’interesse della Nazione e per sostenere le costose macchine dei partiti, non avrebbe favorito certi disegni criminali. Lo aveva fatto capire bene Francesco Cossiga, che con le sue “picconate” tentava disperatamente di trasformare l’Italia in un Paese normale, in una democrazia compiuta, prima che fosse troppo tardi. Lo aveva fatto capire Bettino Craxi, che nell’Agosto del 1990 rispedì al mittente gli “avvertimenti” ed i “consigli” che Enrico Cuccia gli aveva fatto avere a Hammamet tramite il suo messaggero Salvatore Ligrestri. Lo aveva fatto capire bene anche Giulio Andreotti all’indomani dell’omicidio a Mondello dell’europarlamentare della DC Salvo Lima, crivellato dai colpi di due sicari. E lo aveva fatto capire molto bene anche il Ministro degli Interni Vincenzo Scotti, definito da Cossiga, nella prefazione del libro di memorie Un irregolare nel Palazzo, «il primo che comprese che stava per scatenarsi la bufera di Mani pulite e che vi era il pericolo che si tentasse, come poi infatti accadde, un vero e proprio golpe istituzionale per via giudiziaria contro la Prima Repubblica».

E sappiamo tutti come è andata. L’ex PCI, da poco trasformatosi gattopardescamente in PDS per tentare di aggirare la conventio ad excludendum che l’aveva sempre tenuto fuori dal governo della Nazione, si era ormai reso conto che non avrebbe avuto più chance di arrivare “democraticamente” e per via elettorale al potere, un’ambizione che non aveva mai smesso di covare sin dal lontano 1943. Dopo il crollo del Muro di Berlino e dopo la scissione di Rifondazione Comunista, era ormai un partito in profonda crisi d’identità e in forte calo di consensi. Al suo orizzonte si cominciava ad intravedere e a materializzarsi il peggior incubo dei suoi dirigenti: l’Unità Socialista fortemente voluta da Craxi, un’operazione che avrebbe umiliato i dirigenti di Botteghe Oscure, costringendoli a fare i conti con il passato (sto parlando anche e soprattutto di “conti” economici oltre che morali) e a riconvertirsi, volenti o nolenti, in una grande forza socialdemocratica di ispirazione europea e mitterandiana. Il crollo elettorale alle elezioni amministrative e politiche era palese e sintomatico. Di lì a breve il PSI sarebbe riuscito nel suo storico obiettivo di un sorpasso. Per la generazione degli allora quarantenni (i vari Fassino, D’Alema, Veltroni e compagnia bella) si aprivano due strade: arrendersi o combattere. Scelsero la seconda e vi si incamminarono nel peggiore dei modi: scatenando una guerra mediatico-giudiziaria finalizzata alla distruzione totale degli avversari, distruzione dopo la quale, con la caduta delle teste di tutti i leader delle forze politiche di governo, avrebbero avuto la strada spianata per le tanto ambite e sospirate poltrone.

Ma un colpo di stato, o golpe istituzionale che dir si voglia, complesso e articolato come quello di Tangentopoli, i comunisti nostrani non potevano certo arrivare ad orchestrarlo da soli. Furono in questo aiutati, nella pianificazione del progetto e nella sua attuazione, dalla grande finanza internazionale, ovvero da quello che in teoria doveva rappresentare il loro peggior nemico. Fecero così questo insano ed infausto “patto col diavolo”, che venne suggellato definitivamente con la tristemente famosa crocerina sul panfilo Britannia. In sintesi, certi “poteri forti” li avrebbero aiutati nell’operazione e avrebbero benedetto la loro scalata al Governo. La contropartita era terribile, ma ad essi, nella loro smania di potere, poco importava. Prevedeva il commissariamento e la svendita delle risorse della Nazione ai grandi burattinai internazionali della finanza e del potere bancario. Che poi non siano riusciti ad andare al Governo nel ’94 con la loro “gioiosa macchina da guerra” perché Silvio Berlusconi gli ruppe le uova nel paniere, questa è un’altra storia. Se la sono comunque lega al dito vendicandosi con vent’anni di campagne giudiziarie.

Ma il danno era già stato fatto. Il vaso di Pandora era stato spalancato già con il Governo Amato. Saranno poi i Governi di Prodi e D’Alema a proseguire il saccheggio del Paese, con le privatizzazioni in salsa debenedettiana del ’95, con la ratifica dei peggiori trattati europei che potessimo aspettarci e con l’infausto ingresso nella gabbia dell’Euro.

Oggi (sto scrivendo il 19 Gennaio 2014) è anche l’anniversario della morte di Bettino Craxi. Ritengo doveroso rendere omaggio a un uomo che, nel bene e nel male, ha contribuito a fare grande questo Paese e a ridare agli Italiani un minimo di orgoglio nazionale. Un vero statista come pochi l’Italia ne ha avuti nella sua storia, morto da esule in terra straniera per non aver voluto piegarsi al gioco al massacro e alla distruzione pianificata del nostro tessuto sociale ed economico.

Sappiamo tutti qual’era il sistema di finanziamento illecito dei partiti e della politica negli anni ’80 e sappiamo che in questo sistema erano coinvolti tutti i partiti, sia di governo che di opposizione. Il Partito Comunista Italiano, oltre ad avvantaggiarsi da questo complesso sistema di finanziamento illecito “interno”, ha goduto per decenni anche del cospicuo finanziamento illecito “esterno”, con i miliardi di Dollari che riceveva da Mosca. Eppure il PCI non è stato toccato dai processi di Mani Pulite e per i suoi dirigenti non fu applicata la formula del “non poteva non sapere” tanto invece utilizzata per i dirigenti degli altri partiti. Mentre Craxi è morto in esilio, un dirigente chiave del PCI di allora oggi siede al Quirinale già per la seconda volta consecutiva.

Voglio quindi proporre ai lettori di Signoraggio.it alcuni stralci del processo Cusani del 1993, in cui Craxi, interrogato da Antonio Di Pietro, inchioda Giorgio Napolitano alle sue responsabilità.

Potete anche vedervi la ripresa video originale di queste forti dichiarazioni al link http://www.youtube.com/watch?v=eWqBXwcLSmI.

Antonio Di Pietro: «On. Craxi, per quanto tempo ha rivestito la carica di segretario del P.S.I.?».

Bettino Craxi: «Dal 1976 al 1992, quindi per un lunghissimo periodo».

Antonio Di Pietro: «Lei era al corrente se il P.S.I. negli anni abbia mai ricevuto denaro dalle imprese in modo difforme dalla legge sul finanziamento ai partiti?».

Bettino Craxi: «Mi consenta di chiarire innanzitutto un punto: né la Montedison, né il Gruppo Ferruzzi, né il dott. Sama, né altri, direttamente o per interposta persona, hanno mai dato a me direttamente una lira. Diversamente, tanto il Gruppo Ferruzzi che il Gruppo Montedison, hanno versato contributi all’amministrazione del partito da molti anni. Del resto Montedison e Ferruzzi non versavano solo al PSI».

Antonio Di Pietro: «Questo è vero. Ci è stato riferito da molti».

Bettino Craxi: «Io sono sempre stato al corrente della natura non regolare del finanziamento ai partiti e al mio partito. […] In Italia il sistema di finanziamento ai partiti e alla attività politiche in generale contiene delle irregolarità e delle illegalità, io credo a partire dall’inizio della storia repubblicana. Si tratta di un capitolo che potremmo anche definire “oscuro” della storia della democrazia repubblicana. Da decenni il sistema aveva una parte del suo finanziamento di natura illegale. E non lo vedeva solo chi non lo voleva vedere; e non ne era consapevole solo chi girava la testa dall’altra parte. [..] I partiti erano tenuti a presentare dei bilanci in Parlamento; i bilanci erano sistematicamente falsi. Tutti lo sapevano, ivi compreso coloro che avrebbero dovuto esercitare funzioni di controllo nominati dal Presidente della Camera. […] Né i partiti di opposizione contestavano i bilanci dei partiti di governo, né i partiti di governo contestavano i bilanci dei partiti di opposizione».

Antonio Di Pietro: «Ma allora i partiti di opposizione che opposizione facevano?».

Bettino Craxi: «Riferiamoci al maggiore partito di opposizione, il Partito Comunista Italiano, il quale non è mai stato un partito povero. È sempre stato un partito ricco di risorse. Talvolta si aveva l’impressione che ne disponesse più del principale partito di governo [la Democrazia Cristiana, n.d.a.]. Aveva costruito in Italia la macchina burocratica più potente e organizzata dell’intero mondo occidentale e per questo si avvaleva di un finanziamento che proveniva, o non proveniva del tutto, in gran parte da fonti illegali. Io ho già avuto occasione, Dott, Di Pietro, di scrivere in una memoria che Lei ha avuto la cortesia di ricevere e di leggere, quanto pensavo su questa questione, e del resto l’ho detto ad alta voce in Parlamento. Erano contributi che andavano anche ai partiti di opposizione, ed al maggiore partito di opposizione, a seconda delle convenienze delle industrie, che provenivano dall’in-terno e dell’esterno. Dall’interno provenivano da tutti gli enti in cui erano rappresentati come minoranza, enti nazionali, non ce n’è uno in cui non sia sorto un caso, ivi compresa la metropolitana milanese che non è un ente nazionale; poi c’era tutta una miriade di amministrazioni locali; e poi c’era un grande flusso che proveniva dall’estero, dall’Unione Sovietica, dai Paesi del Comecon e del Patto di Varsavia, e che costituiva una delle voci principali del finanziamento al P.C.I.».

Antonio Di Pietro: «Tutto ciò lo dice perché ha dei documenti?».

Bettino Craxi: «É tutta materia che si ricostruisce, basta scavare. Quando un giorno si apriranno gli archivi del KGB, che in questo momento per decisione del precedente Parlamento russo sono stati coperti dal segreto di Stato, molta di questa materia verrà alla luce. Tuttavia molta ne è già avvenuta e diciamo che di una parte di questa io sono casualmente venuto a conoscenza».

Antonio Di Pietro: «Ha parlato del maggiore partito di opposizione. Ma di quelli minori cosa sa?».

Bettino Craxi: «[…] La verità è che i bilanci erano tutti falsi, o quasi tutti, quelli dei maggiori. C’erano dei bilanci “aggiustati” in qualche modo che non contenevano le risorse aggiuntive. E quindi nessuno aveva interesse ad aprire una polemica di questa natura. Ma non solo per i finanziamenti che venivano dall’estero, anche per quelli che venivano dall’interno».

Antonio Di Pietro: «Cioè?». Bettino Craxi: «Ma scusi, qualcuno può credere che il ravennate Gardini, che aveva grandi interessi in Emilia o in altre località italiane e il cui gruppo aveva grande interesse in Unione Sovietica, non abbia mai dato un contributo al PC.I.? Faccio un esempio. Sarebbe come credere che il Presidente del Senato sen. Spadolini, essendo stato dieci anni segretario del Partito Repubblicano Italiano, abbia sempre avuto un finanziamento assolutamente regolare; o sarebbe come credere che il Presidente della Camera, On. Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni Ministro degli Esteri del P.C.I. e aveva rapporti con tutte le nomenclature comuniste dell’Est, a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui tra i vari rappresentanti amministratori del P.C.I. e i Paesi dell’Est: non se n’è mai accorto? Cosa non credibile».

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E l’Anima risvegliò il suo Dio di Fiorella Rustici – La prefazione di Nicola Bizzi

LA LUNGA STRADA VERSO I PRATI DI PERSEFONE

di Nicola Bizzi

Fin dagli albori della storia e della civiltà, l’essere umano ha avuto e trasmesso alla propria comunità e alla propria progenie la consapevolezza di essere una creatura pensante animata da una scintilla divina, di essere in sostanza un frammento di Eternità. Ha avuto il sentore, oserei dire la certezza, di non essere limitato ad una mera esistenza fisica destinata a terminare con il decadimento e la morte del suo “involucro”, ma di essere bensì destinato in qualche modo a ricongiungersi con quelle stesse Forze creatrici che regolano l’esistenza, l’energia del cosmo e le dinamiche potenti e immutabili della Natura. E, di conseguenza – come ci attestano innumerevoli reperti archeologici e la stessa nascita del sentimento religioso e della Filosofia – ha sempre posto in un ruolo di primo piano il proprio rapporto con il Trascendente, ponendosi delle fatidiche domande: Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?

In particolare è sempre stato l’ultimo di questi tre interrogativi, ovvero dove siamo destinati ad andare, non solo metaforicamente e materialmente sulla via tracciata dal destino, ma anche e soprattutto dopo la fine della nostra esistenza terrena, a stimolare nell’umanità l’incessante necessità di risposte. Risposte che l’uomo, fin dalla Preistoria, si è in buona parte dato con la nascita e lo sviluppo del pensiero religioso e, successivamente, con la nascita della Filosofia.

Il termine Filosofia (Φιλοσοφία), che in Greco antico si compone da φιλεῖν (phileîn), “amare”, e σοφία (sophía), “sapienza”, significa letteralmente “amore per la sapienza”.

I moderni dizionari e le enciclopedie definiscono concordemente la Filosofia una disciplina e al contempo un campo di studi che si pone domande e riflessioni sul mondo e sull’uomo, indaga sul senso dell’essere e dell’esistenza umana, tenta di definire la natura e si occupa dei limiti e delle possibilità della conoscenza. Ma prima ancora che indagine speculativa, la Filosofia è stata una disciplina che seppe assumere anche i caratteri della conduzione di un determinato “modo di vita”, ad esempio nell’applicazione concreta dei principi desunti attraverso la riflessione e il pensiero, e in questa forma la si fa sorgere, ne si collocano le origini ed i fondamenti, proprio nell’antica Grecia. Ma a rendere complessa una definizione univoca della Filosofia concorse il dissenso (ancora oggi tutt’altro che risolto) tra i suoi protagonisti ed artefici (i Filosofi) sull’oggetto stesso di tale disciplina. Un falso problema questo, perché, se andiamo all’origine, i più antichi Filosofi non ponevano una netta linea di demarcazione fra Philo-Sophia e Sapere Sacro. E, come giustamente sottolineava Victor Magnien, «la Filosofia greca deriva dai Misteri, almeno secondo l’opinione degli stessi Greci».

La semplice traduzione dal termine greco (“amore per la sapienza”) non sarebbe certo di per sé sufficiente a rendere l’idea di cosa sia stata e di come venisse intesa e percepita la Filosofia nell’antico mondo ellenico anche perché il significato che il termine poteva rivestire in un contesto culturale, quello dell’antichità classica, in cui l’uomo era più vicino agli Dei e gli Dei erano più vicini all’uomo, si distanzia enormemente dai significati e dalle interpretazioni che della Filosofia sono stati dati nelle epoche successive, dal Medio Evo all’Età Moderna, caratterizzate da ambiti sia socio-economici che cultural-religiosi completamente diversi.

Finché non ci spogliamo della cappa di modernità che ci avvolge, e soprattutto dai plurisecolari condizionamenti che essa ha necessariamente comportato, influenzando il nostro modo di vivere, percepire e vedere noi stessi e la realtà che ci circonda, non riusciremo a comprendere pienamente le opere che ci hanno lasciato indiscussi Maestri del pensiero quali Platone, Plotino, Porfirio, Proclo e molti altri ancora.

Ma la Filosofia greca, sia che la intendiamo come Sapere Sacro e amore per la Divina Sapienza, che come scuola di vita e palestra di riflessione, meditazione, introspezione ed elevazione, a differenza di specie ormai estinte come l’Homo Erectus o l’Homo Neanderthalensis, è tutt’altro che appartenente al passato. Essa è tutt’oggi viva e pulsante e, nonostante i pesanti ed innegabili condizionamenti sociali dovuti a duemila anni di Cristianesimo che ne hanno alterato parte della natura e del messaggio intrinseco, continua a costituire la base stessa della nostra forma mentis e del nostro bagaglio culturale.

Giorgio Giacometti ha affermato in un suo saggio che «in ciò siamo soccorsi dagli stessi testi antichi che per aiutare la concentrazione passano di punto di vista in punto di vista (donde l’apparenza in essi della contraddizione e dell’eclettismo)» e che «a tale soccorso dobbiamo aggiungere quello di testi e maestri moderni che ci forniscano la chiave di lettura e di meditazione di questi scritti». Ma è semmai, dal mio punto di vista, l’esatto contrario. Nessun autore, nessun filologo o nessun sedicente “filosofo” moderno potrà mai fornirci le corrette chiavi di lettura della Philo-Sophia antica, e in particolare di quella platonica e neoplatonica. Tali chiavi di lettura, a meno che non ci si accontenti degli aspetti più esteriori (dell’involucro, potremmo dire), le si raggiungono in soli due modi: attraverso un’Iniziazione misterica e il relativo processo graduale di elevazione/apprendimento sotto l’attenta guida di un Mystagogo, o, in maniera profana (e quindi necessariamente incompleta o parziale), attraverso una prolungata e faticosa attenta lettura dei testi dei Maestri del passato, accompagnata da una propedeutica ma indispensabile spoliazione catartica di ogni pregiudizio preconcetto dettato dai condizionamenti socio-culturali e religiosi del mondo contemporaneo.

Sempre Giorgio Giacometti, in Meditare Plotino, rifacendosi agli studi del filosofo e teologo francese Pierre Hadot – e in particolare al saggio di quest’ultimo intitolato Esercizi spirituali e Filosofia antica – evidenzia molto il ruolo della Filosofia come ασκησις, cioè come esercizio o meditazione. Ci ricorda infatti come Hadot, muovendosi dalla considerazione di quanto la Filosofia antica interpretasse sé stessa come esercizio, sia arrivato a comprendere quanto la Tradizione antica continui a vivere in noi, per lo più inconsapevolmente (come potenza o latenza) e quanto essa possa parlare al disagio dell’uomo contemporaneo sicuramente più e meglio di altre Tradizioni, ivi comprese quella Cristiana e quelle orientali.

Sotto questo profilo, sulla base degli studi di Hadot, la Filosofia si presenta innanzitutto come arte del vivere, o come arte di vita e di morte, o, se vogliamo essere ancora più precisi, coma arte del saper vivere e del saper morire. E non è certo una casualità il fatto una simile definizione sia per eccellenza la medesima della Tradizione misterica ed iniziatica, e di quella eleusina in particolare.

Già nel 1928 il noto teosofo ed esoterista olandese Johannes Jacobus Van der Leeuw, nel suo celebre saggio The Conquest of illusion, ci ricordava come la Filosofia debba essere intesa soprattutto come ricerca della vita e che essa è più che amore per la saggezza, a meno che non intendiamo per saggezza qualcosa di diverso dal sapere. Secondo Van der Leeuw, la stessa saggezza è conoscenza ed esperienza, e perciò è vita. E la ricerca della saggezza deve quindi essere intesa anche come ricerca della vita. Ma la vera Filosofia non deve limitarsi ad essere una mera soluzione intellettuale dei problemi. Nelle parole di Platone la Filosofia nasce dalla meraviglia, ed il vero Filosofo è colui che continua a meravigliarsi della vita, che non cessa mai di farlo, non colui che è certo di aver risolto ciò che sta al di là di ogni soluzione. È profondamente vero, quindi, come ci insegna Van der Leeuw, che finché non siamo in grado di vedere le meraviglie della vita intorno a noi, a meno di non vederci come avvolti in un mistero che sfida la nostra audace esplorazione, non siamo ancora sull’autentico sentiero della Filosofia.

Come ci spiega sempre Van der Leeuw, l’uomo non risvegliato conosce solo i fatti, non conosce misteri; per lui le cose si spiegano da sole; il mondo esiste, cosa altro c’è da sapere? Ma questo è un modo di vedere animale; per una mente bovina il pascolo può essere buono o cattivo, e non c’è bisogno di spiegazioni. E quindi l’uomo non risvegliato si accontenta dei fatti dell’esistenza: l’ambiente che lo circonda, il cibo, il lavoro, la famiglia e gli amici sono altrettanti “fatti” che lo circondano, fatti piacevoli o spiacevoli, ma che non hanno per lui mai apparente bisogno di essere spiegati. Parlargli di un mistero celato nella sua vita e nel suo mondo potrebbe sembrare cosa vana e non avrebbe alcun senso; egli vive, e il semplice fatto di vivere gli basta. La morte e la vita stesse possono per un momento infondergli un senso di ansia o di gioia, ma anche in tale caso non risvegliano in lui alcuna curiosità: sono in fondo per lui cose familiari e abituali. Ed è proprio questa apparente familiarità alla vita che cela il suo mistero alla mente animale.

L’uomo non risvegliato così mirabilmente descrittoci da Van der Leeuw rappresenta purtroppo oggi, a differenza che nell’antichità – quando, come abbiamo detto, in un reale scambio e connubio l’uomo era più vicino agli Dei e gli Dei più vicini all’uomo e assai maggiore era il livello di consapevolezza – più una regola che l’eccezione. Buona parte dell’umanità è oggi assimilabile ai protagonisti dell’allegoria della caverna spiegataci esemplarmente da Platone nella Repubblica. E la Filosofia, l’autentica Philo-Sophia, può, oggi più che mai, – a differenza delle imperanti religioni monoteistiche fondate sul dogmatismo e sulla logica “del bastone e della carota” – rappresentare per tanti di questi uomini un raggio di luce capace di squarciare le tenebre in cui sono avvolti e contribuire così al loro risveglio (per quanto traumatico esso possa essere) e al loro cammino sul sentiero della Consapevolezza.

Quanto appena riportato non può non richiamarmi alla mente un paragone molto calzante ed esplicativo riportato da Corrado Malanga nel suo illuminante saggio Genesi. Mi sto riferendo alla metafora del cavallo/cavaliere, secondo la quale il cavaliere, nella sua dualità, rappresenta il nostro spirito, e il cavallo il nostro corpo fisico. Tale metafora ci insegna che ciascuno di noi nella vita è contemporaneamente cavallo e cavaliere, ma il cavaliere deve sempre cercare di dominare e controllare il proprio cavallo, conoscere il suo stato di salute, i suoi turbamenti e le sue debolezze. Nel nostro pellegrinaggio terreno – scrive Malanga – spesso accentuiamo a tal punto il contrasto della dualità del cavaliere (maschile, forza, ragione, lato sinistro del cervello, contro femminile, dolcezza, passione, lato destro del cervello) perdendo di vista il vero obiettivo del cammino intrapreso: godere del dono della vita.

L’esercizio spirituale della Filosofia, nelle interpretazioni di Pierre Hadot, non è inteso solo come mezzo che ha per fine il vivere bene, ma esso stesso incarnerebbe il modo migliore di vivere. La Filosofia, quindi, come ci insegna Aristotele nella Metafisica, può essere intesa come fine a sé stessa purché con ciò non si intenda assimilarla ad un ozioso gioco speculativo, ma la si prenda sul serio come esercizio che impegna e richiede tutte le energie della vita; il che, come ci ricorda Giacometti, può anche essere espresso con l’affermazione che la vita stessa non ha senso se non come esercizio di morte, ossia come accettazione e disponibilità al trapasso, conoscendo sé stessi nel proprio autentico sé, al di là dell’io=corpo (o del “cavallo” secondo la metafora malanghiana), dell’individuo, quell’io che non altro rappresenta, in fondo, che l’ultima delle passioni o illusioni.

Un insegnamento, anche questo, che rientra a pieno titolo fra quelli della più autentica Tradizione Misterica. Come giustamente osservava Victor Magnien, il Socrate che Platone fa parlare nell’Apologia professa certo le idee e le dottrine insegnate nei Misteri quando afferma: «Se un uomo, liberato da coloro che qui pretendono di essere giudici, giunge presso Hades e vi trova i veri giudici che si dice giudichino laggiù, Minosse, Radamante e Eaco e tutti i Semi-Dei di cui fu detto che condussero una vita giusta, compie forse un cambiamento di cui si debba rammaricare? Dimorare assieme ad Orfeo, Museo, Esiodo e Omero non è una sorte da tenersi in gran conto?».

Come sottolineava Giovanni Pugliese Carratelli, dell’immagine, così persistente nella letteratura greca dall’età arcaica alla classica, della vita umana come un tessuto di sofferenze hanno cercato di dare una giustificazione i primi teologi e i primi filosofi (due categorie che, come spiego spesso nei miei saggi, nel mondo antico erano spesso coincidenti e compenetranti). E, con la nascita e lo sviluppo dei culti misterici – che, attraverso un percorso iniziatico e di elevazione e un duro lavoro di lotta contro sé stessi, offrivano e garantivano ai propri adepti non solo le risposte ai grandi interrogativi che già abbiamo menzionato, ma anche la salvifica certezza di una vita eterna – si è fatta strada nei popoli antichi la piena consapevolezza di una sopravvivenza oltre questa vita fisica. La piena consapevolezza del fatto che esista una piena correlazione fra morte e iniziazione, e sul fatto che il Filosofo, come l’iniziando a Eleusi, “intende a morire”, e intende a farlo, come ricordava Marco Tullio Cicerone (non a caso un grande iniziato eleusino), «cum laetitia vivendi rationem accepimus, sed etiam cum spe meliore moriendi».

Ma gli insegnamenti misterici non si limitavano a far affrontare agli adepti la morte con letizia e a dare loro la speranza di una vita eterna. Mettevano gli iniziati anche in guardia dai terribili pericoli che avrebbero potuto affrontare una volta varcata la fatidica soglia, conferendo loro delle vere e proprie “istruzioni” per non cadere nelle trappole di forze oscure avverse all’umanità – forze arcontiche e vampiriche che si nutrono della nostra stessa energia animica – e per giungere indenni ai Campi Elisi, ai Prati di Persefone.

«Troverai a destra delle case di Ade una fonte, e accanto ad essa un bianco cipresso: a questa fonte non avvicinarti neppure. Più oltre troverai la fredda acqua che scorre dal lago di Mnemosyne. Vi stanno innanzi i custodi, ed essi ti chiederanno a qual fine sei giunto fin lì. A loro tu esponi tutta la verità; dì: “Sono figlio della Terra e del Cielo stellato; Astérios è il mio nome. Sono arso di sete: datemi da bere dalla fonte”». Così recita il testo di una delle tante laminette d’oro (nello specifico quella rinvenuta a Pharsalos, in Tessaglia), impropriamente definite dagli archeologi “orfiche”, che venivano deposte nei sepolcri degli iniziati eleusini e che contenevano le istruzioni per intraprendere correttamente il viaggio ultramondano.

Nel contesto degli antichi Misteri, l’Epopteia rappresentava l’esperienza contemplativa culminante, ed è proprio per questo che uno dei principali significati del termine Ἐπόπτης è “Contemplare” o “Contemplare del Tempio”, cioè colui a cui è consentito contemplare gli Dei da vicino. Ma soprattutto, come evidenziò nel 1841 Jean Marie Ragon, «colui che vede le cose tali e quali sono, senza veli».

Se la Mysta comporta per l’iniziando una morte rituale simbolica e “di concetto”, con l’Epoteia l’Iniziato vive l’esperienza di una morte rituale vera e propria. O, quella che in termini moderni, potremmo definire un’esperienza di pre-morte. Chi scrive lo sa con cognizione di causa, perché – ve lo posso assicurare – ci sono passato in prima persona.

Un discusso frammento oggi attribuito ufficialmente a Plutarco di Cheronea, ma che, prima dell’attribuzione voluta e di fatto imposta da Francis Henry Sandbach, molti filologi classici ritenevano (secondo me a ragione) di Plutarco di Atene, risulta fondamentale per comprendere la natura dell’esperienza epoptica: «L’anima al momento della morte fa un’esperienza analoga a quella provata da coloro che si sottopongono all’iniziazione ai Grandi Misteri. Perciò anche il verbo teleutàn (morire, n.d.A.), come anche l’azione che esso esprime, sono simili a teléisthai (essere iniziato, n.d.A.). Dapprima si erra faticosamente, smarriti, correndo timorosi attraverso le tenebre senza raggiungere alcuna meta; poi, prima della fine, si è pervasi da ogni genere di terrore, spavento, tremore, sudore e angoscia. Ma poi una meravigliosa luce ci viene incontro e si è accolti da luoghi puri e da prati, dove risuonano voci e si vedono danze, dove si odono solenni canti ieratici e si hanno divine apparizioni. Tra questi suoni e queste visioni, ormai perfetti e pienamente iniziati, si diviene liberi e si procede senza vincoli, con ghirlande di fiori sul capo, celebrando i Sacri Riti insieme agli uomini santi e puri. Si osserva allora la massa degli uomini che vivono qui sulla terra, i non iniziati e i non purificati, schiacciarsi e spingersi nel fango della palude e nelle tenebre, attanagliati dalla paura per i mali della morte a causa della mancanza di fiducia nei beni dell’Aldilà».

Quest’opera di Fiorella Rustici che vi apprestate a leggere è un vero e proprio romanzo iniziatico, e come tale non è indubbiamente un libro per tutti. Si tratta infatti di un testo capace di trascinare chi vi si immerge nelle complesse e sconcertanti dinamiche del post-mortem, alla ricerca del più profondo significato dell’esistenza umana. Un libro capace di fornire delle risposte che non tutti possono essere in grado di recepire e di affrontare, soprattutto se non dispongono di un adeguato livello di Consapevolezza. Ma, al contempo, si tratta di un libro ricchissimo di verità (anche terribili) e di infiniti spunti di riflessione, sicuramente per certi versi sconvolgente, che di sicuro non lascerà indifferenti i lettori. E l’Anima risvegliò il suo Dio è un libro che molto probabilmente – oserei dire inevitabilmente – scardinerà in chi lo legge molte false certezze e risposte accomodanti, contribuendo a far aprire gli occhi sul grande mistero della Vita.

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Le Vesti dell’Anima di Cristina Alunni – La prefazione di Nicola Bizzi

Quando Cristina Alunni mi ha proposto di dare alle stampe la sua opera Le Vesti dell’Anima, dopo averla letta non ho esitato un solo istante nel darle il mio pieno ed entusiasta assenso.

Raramente, come editore, mi capita di pubblicare romanzi. Notoriamente tendo a dare maggiore spazio alla saggistica, sia storica che inerente ad argomenti e tematiche che possano favorire nei lettori la spiritualità, la consapevolezza, o quanto meno un incentivo a porsi delle domande, ad indagare sui grandi misteri della vita, dell’universo, della natura e della stessa esistenza umana. Ma mi sono subito reso conto, già da una prima lettura, che Le Vesti dell’Anima rappresentava ben più di un romanzo e, al contempo, ben più di un semplice viaggio nella psiche emozionale, come recita il suo sottotitolo. Quest’opera di Cristina Alunni, che non esito a definire un capolavoro, costituisce un vero e proprio percorso iniziatico, al di là delle barriere del tempo e dello spazio, che ci porta alla scoperta della nostra stessa anima, della nostra spiritualità, della nostra immortalità divina. Un viaggio avvincente e introspettivo, a tratti anche drammatico, che va ad affrontare – riuscendo peraltro brillantemente a farlo, e il che non è assolutamente facile o scontato – temi quali la reincarnazione, il karma, il destino, l’amore, la morte, l’iniziazione, e che può contribuire a risvegliare nei lettori la consapevolezza di avere forse già nella propria coscienza le risposte a quei fatidici interrogativi che da sempre accompagnano gli esseri umani: Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?

Questo libro di Cristina Alunni mi ha molto ricordato il capolavoro di Anya Seton Verde Oscurità, che fu una delle mie letture giovanili, ma ha a mio parere un quid in più: la comprensione e l’esplicazione del concetto di Femminino Sacro. La Dea, la Grande Madre, Colei dal cui grembo proveniamo e al cui grembo ritorneremo, pervade con la sua costante e discreta presenza tutte le pagine di questo libro, ammantandole di Amore, di quell’amor che move il sole e l’altre stelle, come sottolineava nella sua Commedia quello straordinario iniziato che fu Dante Alighieri.

Questo libro sicuramente non vi lascerà indifferenti e sono certo che, se ne comprenderete il mesasaggio, saprete fare tesoro delle perle che contiene.

Nicola Bizzi

Firenze, 16 Novembre 2021

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Nicola Bizzi: Sarà il Sole a svegliarci: lo teme la Religione della Paura

Articolo di Giorgio Cattaneo

Dal sito Libreidee – 16 Novembre 2021

https://www.libreidee.org/2021/11/sara-il-sole-a-svegliarci-lo-teme-la-religione-della-paura/

La deriva transumanista a cui stiamo assistendo è il frutto di uno scontro di civiltà. Un emblematico, inesauribile scontro: non solo fra due culture, fra due concezioni del mondo, ma addirittura fra due opposte e inconciliabili forme di civiltà. Una potremmo definirla algida, fredda, pseudo-lineare, agorafobica, già vecchia e stantia nonostante i suoi appena tre secoli di età. È una cultura sorta dal razionalismo di fine Seicento e da quella che è passata alla storia come la rivoluzione scientifica. Una cultura che è stata nutrita da una miope incomprensione dell’esperienza illuministica, pur liberatoria, che però si è incanutita precocemente, fossilizzandosi negli ingranaggi del pensiero meccanicistico. L’altra cultura è invece antica come l’alba della conoscenza (e della coscienza), come e più delle stesse piramidi e di quei miti che produssero. Eppure quella cultura è sempre giovane: perché è immortale, orgogliosa e ottimistica, come quegli stessi dèi che la donarono agli esseri umani.

È una cultura inclusiva, conciliatrice dei complessi rapporti tra uomo e natura. E soprattutto: è profondamente radicata nella più arcaica e radicale delle esperienze umane: la percezione magica del sacro. Lo scontro in corso rappresenta una delle ultime fasi di un conflitto, molto antico, tra la dimensione gnostica – prometeica, titanica, estatica – e la sua drammatica emarginazione e persecuzione ad opera di una falsa religiosità assolutistica, quella del monoteismo patriarcale che si instaurò con il rovesciamento degli antichi dèi. Una deriva che, poi, ha portato a quel delirio teologico che è stato fatto proprio dalla cultura giudaico-cristiana. Ha pesato la sua applicazione totalmente exoterizzante, che ha escluso ogni aspetto esoterico-iniziatico. E ha voluto ritagliare, nella grande spirale del tempo eterno (venerata da tutte le antiche culture del pianeta), un segmento progettuale artificioso: quello di un dio totemico, tanto geloso quanto violento, nemico di tutte le tradizioni fondate sulla conoscenza e sull’esperienza.

Razionalismo, rivoluzione scientifica e rivoluzione industriale: oggi Klaus Schwab parla di Quarta Rivoluzione Industriale, a conferma del fatto che sono sempre gli stessi, a cantarsela e suonarsela da soli. Hanno voluto separare il sacro dal profano, l’immanente dal trascendente. Negli ultimi tre secoli hanno tentato, in tutti i modi, di estirpare la spiritualità dalla concezione umana, dalle espressioni della nostra cultura. E spesso e volentieri lo hanno fatto a braccetto con la Chiesa cattolica. Ora siamo giunti a una fase ancora più avanzata: non servono neppure più, le masse. Lo spiega bene Marco Della Luna: le masse sono ormai divenute superflue, per questo potere che vorrebbe “depopolare” il pianeta. Ormai mirano solo al controllo: si aggrappano come pazzi ai residui brandelli del loro potere. Puntano al controllo totale: quindi vogliono la digitalizzazione forzata, il transumanesimo, la sostituzione definitiva dell’uomo con le macchine e la riduzione in schiavitù dei pochi superstiti.

Schiavi: privati di coscienza, di libero arbitrio, di raziocinio. Privati di ogni libertà, di ogni diritto. Un po’ come recita lo slogan dell’europea Id 2030: non possiederemo più nulla, ma saremo tutti felici. Vi piacerebbe, vero? Ma non andrà così. Pensiamo a quelli che oggi recitano l’Om nelle piazze: sono comunque segnali di un risveglio spirituale. In tutte le grandi epoche di crisi e transizione, c’è sempre stato anche un grande impulso della spiritualità. L’umanità ha periodicamente compiuto balzi quantici, a livello intellettuale e spirituale. Ebbene: sono stati determinati anche dalle eruzioni solari. Ce ne ha appena riparlato l’astrofisica Giuliana Conforto: ci ha spiegato che il campo magnetico della Terra sta mutando velocemente, andando a saldarsi con quello del Sole, oltre che con il campo magnetico della galassia.

La prima tempesta solare registrata con strumentazioni moderne risale agli anni Sessanta dell’800: mise fuori uso i telegrafi di tutto il mondo. Se dovesse avvenire oggi, una tempesta solare di quel tipo farebbe saltare tutti i satelliti e le reti di telecomunicazione, inclusa la telefonia cellulare, e probabilmente manderebbe in tilt le stesse centrali elettriche. Non è detto che certi preparativi di una crisi energetica – vera o presunta che sia – non siano anche finalizzati a “coprire” eventuali tempeste solari in arrivo. Ma attenzione: tempeste solari di entità ben maggiore, avvenute ciclicamente, sono state ben documentate: dall’analisi degli anelli degli alberi, secondo la “dendrocronologia”, e anche dai carotaggi dei ghiacci, effettuati sia in Groenlandia che in Antartide. Fra l’altro, è stato anche dimostrato che nel VII secolo avanti Cristo si verificò una tempesta solare oltre dieci volte più devastante di quella del 1864. Non esistendo la telematica, l’umanità la percepì in maniera molto diversa: al limite la videro, sotto forma di aurore boreali alle nostre latitudini e forse ancora più a Sud.

Gli effetti sull’uomo, però, non tardarono a manifestarsi: nel VI secolo avanti Cristo l’umanità visse un vero salto quantico. Se è vero che può distruggere, il Sole può anche dare la vita: può fornire un impulso vitale per la nostra intelligenza. Nel VI secolo, infatti, sorsero – simultaneamente – decine di movimenti religiosi innovativi, senza contare l’esplosione della filosofia in Grecia. Nacquero Pitagora, Zarathustra, il Buddha. Fenomeni che rispondono a regole cosmiche, magnetiche? Come in alto, così in basso: quello che accade nella galassia è interconnesso con ciò che avviene sul nostro pianeta. Noi siamo un microcosmo, in rapporto con un macrocosmo. Evidentemente, le tempeste solari sono in grado di farci evolvere anche da un punto di vista spirituale. Altre tempeste solari, del resto, erano avvenute anche in precedenza: una – grandissima, risalente al 1200 avanti Cristo – si verificò in concomitanza con la nascita dei Misteri Eleusini, cioè con l’arrivo a Eleusi della dea Demetra. E ne sono avvenute moltissime altre, sempre in corrispondenza di fatti epocali.

Quindi, probabilmente, i gestori della Matrix – quelli che ci dominano – sono anche terrorizzati dalla possibilità di eventi (incluse appunto le tempeste solari) che possano determinare un balzo evolutivo, un salto quantico dell’umanità. Ovvero: se l’umanità prende coscienza di sé, si libera delle proprie catene. Come hanno potuto assoggettare gli esseri umani, per oltre 10.000 anni? Con l’inganno, con i dogmi: con catene mentali e spirituali. Un bravissimo ricercatore come Sabato Scala, studioso del Cristianesimo delle origini, insiste sulla necessità del saper diversificare il Cristianesimo originario dal Cristianesimo “politico”, creato a tavolino – per fini di potere – da personaggi come Giuseppe Flavio, Paolo di Tarso e il filosofo romano Seneca. Ci sono le prove, dei loro complotti: molto abilmente, crearono una nuova religione solo in apparenza derivata dal Cristianesimo delle origini. L’obiettivo qual era? Prendere il potere a Roma e impadronirsi delle redini dell’Impero. E ci riuscirono.

Il coronamento del loro delirio fu il famigerato Editto di Tessalonica, promulgato da Teodosio. Non è sbagliato paragonarlo al Green Pass: l’obbligo di aderire alla nuova religione fu imposto con la forza a una popolazione di 60 milioni di abitanti, di cui soltanto il 15% aveva aderito al nuovo credo. A tutti gli altri, il Cristianesimo “paolino” venne imposto con la violenza: chi non si fosse convertito avrebbe perso ogni diritto civile (rischiando anche la vita, in molti casi). Comunque: si perdeva il diritto a frequentare le scuole, a entrare nell’esercito, a rivestire cariche pubbliche, persino ad accedere ai pubblici edifici. Esattamente come oggi: questi non hanno fantasia, ripetono sempre gli stessi atti.

Quello che Sabato Scala ci ha indicato è la presenza di precise leve psicologiche, utilizzate dalla nuova religione romana proprio per assoggettare le masse. Secondo la scienza di oggi, queste leve sono elementi certi, assodati, per la manipolazione comportamentale. Si tratta di elementi – scrive Scala – che intervengono nel minare i fondamenti di una psiche sana: perché è proprio la psiche sana, che vogliono attaccare, rendendola malata. Come? Introducendo degli effetti, rinforzati da un apparato mitologico e simbolico creato ad arte, che vanno a scardinare alla radice i pilastri di un sano equilibrio psichico (equilibrio che, nelle antiche tradizioni religiose, era sempre esistito). Quali sono, questi obiettivi? Primo: l’autostima (e l’auto-efficacia). Secondo punto: la consapevolezza delle proprie azioni, e di conseguenza l’assenza di sensi di colpa. Terzo: un equilibrato rapporto corpo-psiche, ovvero una relazione armonica con la propria istintualità.

Fin dalla sua prima elaborazione, il Cristianesimo “politico” imposto a Roma, quello che poi ha preso il potere arrivando fino all’Inquisizione e alla caccia alle streghe, ha costruito ad arte un sistema mitologico, un “palinsesto” di rituali e di norme, comportamentali e morali, finalizzato a utilizzare in modo coordinato, secondo un’accurata programmazione neuro-linguistica, tutte e tre le leve citate: autostima, consapevolezza ed equilibrio corpo-psiche. In pratica, attraverso questa manipolazione, sono arrivati a sottomettere le masse con il dogma, impedendo e mortificando l’accesso alla conoscenza. Perché Eva fu cacciata, insieme ad Adamo, dal Paradiso Terrestre? Perché aveva colto il frutto dall’Albero della Conoscenza. Non sia mai: l’essere umano non deve avvicinarsi alla conoscenza. Se lo fa, i dominatori sono perduti.

Prometeo, il grande Dio Titano, tentò in extremis di salvare l’umanità, che già era caduta sotto il giogo dei nuovi dèi, rubando a Zeus la fiaccola della conoscenza per donarla a noi. Purtroppo quel suo gesto non servì, perché Zeus riprese il sopravvento. Ma quello di Prometeo resta un gesto simbolico importantissimo. Quella stessa fiaccola è rappresentata dalla Statua della Libertà che si erge davanti al porto di New York (e pochi sanno che il prototipo di quella statua è presente sulla facciata del Duomo di Milano). Lo ribadisco: questo è un momento storico, tutti i nodi verranno al pettine. Ci saranno tante macerie, ma siamo sicuramente all’alba di una nuova era. E c’è qualcuno che sta facendo di tutto per non farla cominciare, questa nuova era. L’intento dei dominatori è quello di ancorarsi al loro potere: per questo stanno facendo di tutto per sottomettere l’umanità, per impedirle di evolversi e di compiere questo salto quantico. Soprattutto: all’umanità vogliono impedire di ricordare chi è.

Se noi ricordiamo chi siamo – se riconnettiamo la nostra parte animica, divina, con gli dèi creatori, recuperando la memoria genetica che ci hanno trasmesso – allora non ci incatena più nessuno. Se riprendiamo possesso delle nostre capacità, delle nostre vere facoltà, questo li spaventa. E tanto per essere chiari: era scomodo anche il Cristianesimo delle origini, che infatti è stato perseguitato dal Cristianesimo “politico”, progettato per il dominio. É proprio al Cristianesimo delle origini che si ispirarono i Catari e anche i Templari, che volevano rovesciare il Papato (si rifacevano infatti alla tradizione giovannita, che era stata spodestata). Erano scomode anche moltissime tradizioni misteriche – come quella eleusina, a cui io appartengo. Entrate in clandestinità, nel medioevo hanno tentato anch’esse, a più riprese, di spodestare la Chiesa: non ci sono riuscite, ma c’è mancato veramente poco.

Il Rinascimento non è stato solo una rinascita delle arti e della cultura classica: ha rappresentato una vera rinascita delle scienze e delle coscienze, guidata (sottotraccia) proprio dalle antiche tradizioni misteriche che, come un fiume carsico, erano sopravvissute nel sottosuolo per tornare a riaffiorare e alzare la testa, con la stagione rinascimentale. Potevano farlo, avendo in mano la maggior parte degli Stati e delle signorie dell’epoca, contrapposte al Vaticano. Oggi la Chiesa è molto preoccupata, dalla rinascita di certe tradizioni, che vede esprimersi anche nella new age. Premetto: io non l’ho mai amata, la cultura new age; magari era nata con buone intenzioni, ma poi è stata manipolata (soprattutto negli USA, dalla CIA) per finalità politiche. Diciamo che, anche in questo caso, bisogna separare la farina dalla crusca.

Tornando alla Chiesa cattolica: sta procedendo ormai verso una deriva transumanista, improntata al Grande Reset di Davos. Lo dimostrano anche le scandalose politiche vaccinali del Vaticano: una deriva totalitaria che non trova invece il consenso della maggior parte delle Chiese Ortodosse. Il cattolicesimo romano, al contrario, è totalmente appiattito sull’Operazione Corona, anche perché rappresenta un potere che di cristiano non ha più niente. Ebbene: il potere cattolico è oggi spaventato anche da quello che, genericamente, chiama “gnosticismo”. Il termine però è impreciso: c’è infatti anche uno gnosticismo cristiano, c’è uno gnosticismo di origine ermetica, e c’è uno gnosticismo impropriamente definito “pagano”. Comunque, “gnosi” vuol dire “conoscenza”: quindi, nello gnosticismo possiamo annoverare tante tradizioni. Le gerarchie vaticane usano questo termine, in modo un po’ dispregiativo, per indicare qualcosa di pericoloso. E la polemica non è solo di oggi, risale agli anni Novanta.

Interessante il caso di Louis Pauwels, autore de “Il mattino dei maghi”: un libro che, negli anni Sessanta, ha fatto la storia dell’esoterismo occidentale (e anche, in parte, del movimento new age). Poi, in età avanzata, Pauwels ebbe un repentino cambio di rotta: divenne un intransigente cattolico e si mise ad attaccare tutte quelle dottrine esoteriche che escono dai binari della Chiesa. Molto strana, la sua pseudo-conversione: avvenne in seguito a uno strano incidente che quasi gli costò la vita. Mi ricorda la situazione di oggi, in cui molte persone si lasciano manipolare dalla paura, al punto da rinunciare ai loro diritti costituzionali e alla propria libertà. Negli ultimi anni della sua vita, Pauwels arrivò a parlare di un “complotto mondiale neo-gnostico”, ordito da “forze anti-cristiane” che mirerebbero a “indebolire la fede dei cattolici” (sembrano parole di Don Curzio Nitoglia). Comunque, gli attacchi allo gnosticismo – che stanno avvenendo proprio in questi giorni – hanno svariati precedenti nei decenni scorsi, ben oltre il semplice caso Pauwels.

Nel 1990, all’indomani del crollo dei regimi dell’Est Europa, l’arcivescovo di Bruxelles, cardinale Godfried Danneels, in una sua lettera pastorale fece una dichiarazione molto inquietante, poi pubblicata nel 1991 sul settimanale “Il Sabato”. «La riesumazione della vecchia gnosi – scrisse, testualmente – è un rischio mortale, che potrebbe portare alla distruzione del Cristianesimo. E il clima di festa e di liberazione dal comunismo non può assolutamente far dimenticare il sorgere di questo nuovo, insidioso avversario». A breve distanza, anche il Pontefice (Giovanni Paolo II) fece una dichiarazione simile, poi inclusa nel libro-intervista “Varcare le soglie”, curato da Vittorio Messori. Lo stesso Wojtyla, dunque, espresse preoccupazione per «la rinascita delle antiche idee gnostiche». Rinascita definita «un nuovo modo di praticare la gnosi, cioè quell’atteggiamento dello spirito che, in nome di una profonda e presunta conoscenza di Dio, finisce poi per stravolgere la sua parola».

Obiettivamente parlando, qui siamo al ridicolo. Una religione che si considera solida – plurimillenaria – di cosa può mai avere paura? Del risorgere di forme di consapevolezza legate al passato? Evidentemente sì: ne ha tanta paura. E in questi giorni, sempre in ambiti cattolici – anche ambienti giornalistici, persino quelli della cosiddetta controinformazione – si levano le voci di chi pure asserisce di essere contrario alla “deriva autoritaria” in corso, ma poi si mette, curiosamente, ad attaccare proprio lo gnosticismo. Mi domando: ma dov’è, questo gnosticismo? Vedete chiese gnostiche? Movimenti gnostici al potere? Evidentemente, costoro temono una presa di coscienza: temono la riscoperta, da parte delle masse, di antiche tradizioni spirituali (mai sopite). E in maniera un po’ generica e ipocrita, le definiscono con l’etichetta di “gnosticismo”. Lo fanno per non nominarle, per non pronunciare i loro veri nomi.

É emblematico, il fenomeno: conferma la paura del risveglio. A Firenze, il 14 Novembre, sono state schierate le camionette della polizia davanti alla Porta del Paradiso, al Battistero del Duomo, dove si erano radunate migliaia di persone a recitare l’Om. A chi potevano far paura, quelle persone? Alla Curia, immagino, ben più che al governo Draghi. A quanto pare, a quella ritualità di piazza viene attribuita un’importanza enorme. In effetti, davanti alla Porta del Paradiso si prega per qualcosa che va contro i dettami globalisti e transumanisti dell’attuale Chiesa. E allora si sprecano gli attacchi contro queste “nuove forme di gnosticismo”, pericolosissime. In realtà attaccano la rinascita della consapevolezza: è quella, che fa paura. Parallelamente, da parte dell’élite di potere, ci sono progetti per arrivare a una nuova religione mondiale.

In realtà risalgono all’Ottocento, e molti sono già naufragati: ma certe fazioni non vi hanno mai rinunciato. Nell’ottica della Quarta Rivoluzione Industriale, vorrebbero arrivare a fondere le tre grandi religioni monoteistiche in una nuova pseudo-religione con i suoi dogmi, i suoi riti e i suoi simboli.

Il piano però è già fallito in partenza, sia per il rifiuto (motivato) da parte dell’ebraismo, che per il rifiuto (più che motivato) da parte dell’Islam: quando Bergoglio è andato a Baghdad, per poi animare un incontro interreligioso davanti alla ziqqurat babilonese di Ur, il grande ayatollah Al-Sistani (una delle massime guide spirituali dell’Islam sciita) gli ha risposto: potevi anche fare a meno di venire qui. Come a dire: noi non ci stiamo, non accettiamo questa deriva globalista né tantomeno accettiamo di rinunciare alla nostra tradizione, per fonderci in una religione che sia consona ai poteri di certe élite. Non ha funzionato nemmeno l’incontro interreligioso tenutosi nella Piramide di Astana, in Kazakhstan, perché non ci sono i presupposti per realizzare quel progetto. Aderendo a questa operazione, fino ad imporre addirittura il Green Pass a messa (siamo al delirio, ormai), la Chiesa dimostra di aver perso ogni legittimità residua, agli occhi dei fedeli.

Così come gli stessi media manistream, giudicati inattendibili, anche il Vaticano sconta ormai la sfiducia della maggioranza della popolazione: oltre il 60% dei cattolici italiani, probabilmente, rifiutano la piega mondialista del pontificato di Bergoglio, non riconoscendosi più in questa Chiesa. É probabile che il cattolicesimo romano vada incontro a uno scisma, che per ora è stato soltanto rimandato. Ed è interessante che gli attacchi anti-gnostici provengano anche da ambienti clericali tradizionalisti: alcuni sono stati sferrati da personaggi come quel noto arcivescovo (Carlo Maria Viganò, ndr) che pure ha fatto proclami importanti, contro la politica di Bergoglio. Anche lui s’è messo a denunciare lo gnosticismo montante. Mi domando: di cosa hanno paura? Del risveglio delle coscienze? Temono di non riuscire più a irreggimentarle?

Intendiamoci: la spiritualità non può essere ingabbiata, recintata. Secondo me, l’umanità è destinata (in buona parte) a un grande balzo evolutivo, a una rinascita della coscienza, a una nuova consapevolezza. E questo la porterà davvero ad evolversi, e a liberarsi finalmente da tante catene e da tanti condizionamenti. Il che spaventa enormemente il potere. É probabile che ci sarà il tentativo di creare nuovi movimenti di stampo new age, riadattati al presente, per cercare di ingabbiare le persone. E invece, secondo me, oggi possono nascere nuove, grandi correnti spirituali, di portata epocale. Perché siamo veramente a un momento di svolta. Chi vivrà vedrà, ma a mio parere assisteremo a eventi incredibili. Se ci sarà un risveglio della consapevolezza, ci sarà anche un balzo in avanti della società, sotto tutti gli aspetti: un salto quantico, dal mondo scientifico fino alla dimensione del sociale. C’è solo da augurarselo. Prima, però, deve cadere questa impalcatura malvagia, legata all’anti-umanesimo.

Nicola Bizzi: “La spiritualità della nuova era”: dichiarazioni rilasciate a Gianluca Lamberti il 14 novembre 2021, nella trasmissione “Il Sentiero di Atlantide”, sul canale YouTube “Facciamo Finta Che”.

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Alle origini della civiltà umana: Eleusi, Mesopotamia, Immortalità

Il Prof. Nicola Bizzi, fondatore e titolare delle Edizioni Aurora Boreale, è stato intervistato da Alessandra Gargano Mc Leod su Radio Ondaradio sul tema: Alle origini della civiltà umana: Eleusi, Mesopotamia, immortalità.

Qui il link al video: https://www.youtube.com/watch?v=Cu60LpFcnYQ

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Bizzi: Cro-Magno, l’uomo di Atlantide venuto dalle stelle

Articolo di Giorgio Cattaneo

https://www.libreidee.org/2021/04/bizzi-cro-magnon-luomo-di-atlantide-venuto-dalle-stelle/

Chi siamo? Da dove veniamo? Sono domande che ci interpellano da sempre. «La maggior parte dell’umanità è predisposta alla sottomissione: gente inconsapevole, gestita completamente». Lo scrive in un libro il biologo Giovanni Cianti in una considerazione erroneamente attribuita a Carlos Castaneda. «Chi ha capito, ha capito: non ha bisogno di consigli. Chi non ha capito, non capirà mai. Io non biasimo queste persone», scrive Cianti: «Sono strutturate per vivere, e basta: mangiare, bere, respirare, partorire, lavorare, guardare la televisione e mangiare la pizza il sabato sera, andare a vedere una partita. Il mondo, per loro, finisce lì: non sono in grado di percepire altro. C’è invece un piccolissimo gruppo di esseri umani, che possono essere definiti “difetti di fabbricazione”. Sono sfuggiti al “controllo qualità” della linea di produzione. Sono pochi, sono eretici e sono guerrieri». Mi piace molto, questa frase, forse perché anch’io sento di appartenere a questa minoranza. Ma non è solo questione di rifiutare i dogmi, le imposizioni, e di sentirsi guerrieri. E’ anche una questione di sensibilità. Si tratta di porsi domande, di chiedersi sempre il perché delle cose.

E infatti, tutte le grandi tradizioni spirituali – quelle autentiche, dell’antichità, quelle cioè che hanno preceduto l’era dei dogmi – hanno sempre spinto le persone a porsi domande. Tutte le grandi tradizioni iniziatiche dell’antichità erano finalizzate al risveglio della coscienza e della percezione, all’apertura di certi canali che noi possediamo naturalmente, ma che magari non sappiamo come utilizzare. Sono canali di comunicazione tra macrocosmo e microcosmo. Comunicazione diretta: sono dei portali, che abbiamo dentro di noi. Molte persone, semplicemente, li ignorano: non si pongono nemmeno il problema della loro esistenza. Nel libro “Resi umani”, scritto con Mauro Biglino, il biologo molecolare Pietro Buffa riflette sulla nostra parentela con lo scimpanzé: il cucciolo di scimpanzé e il “cucciolo d’uomo” sono praticamente indistinguibili. Poi lo scimpanzé adulto si trasforma e si allontana molto da noi, mentre l’uomo adulto conserva i tratti delle specie domestiche, con scarsissima aggressività, e mantiene i caratteri morfologici del cucciolo, come gli occhi grandi rispetto al resto del corpo: un fenomeno che gli scienziati chiamano “neotenia”.

Siamo stati “domesticati” da qualcuno, che ci ha “fabbricati” con la genetica? Lo dicono i testi sumeri: raccontano che gli Anunnaki “crearono” gli Igigi, loro servitori, progettati per lavorare al posto loro, nelle miniere. La nascita degli Igigi ricorda da vicino quella degli Adamiti, che la Bibbia attribuisce agli Elohim. Nella tradizione eleusina, i nostri “creatori” sono gli dèi Titani. Per la precisione, quattro di loro: Atlante, Menezio, Prometeo ed Epimeteo, figli di Giapeto. Da cui la Stirpe Giapetide, ottenuta anche in quel caso con l’ingegneria genetica. La nostra sarebbe la Quinta Umanità, anche per Esiodo. In vari testi antichi si allude a interventi numerosi e ripetuti, attraverso varie fasi del nostro passato. Si parla di una civiltà avanzata, sbarcata sulla Terra in un’epoca incredibilmente remota. La Terra: un pianeta ottimale per la vita, abitabile, con enormi risorse naturali da sfruttare. Solo che, magari, i primi “pionieri” erano in pochi: un’avanguardia di sparuti colonizzatori.

Per ottenere lavoratori, questi pionieri hanno incrociato i loro geni con quelli di alcuni tipi di primati, al fine di ottenere manodopera a costo zero? Si tratta di un’ipotesi inquietante, come è inquietante che l’umanità attuale presenti tanti segni di soggezione, di sottomissione. Non è un mistero, per psicologi e sociologi: l’Homo Sapiens attuale è estremamente manipolabile, suscettibile di indottrinamenti. Tutte le grandi religioni (monoteistiche, in particolare) hanno sempre imposto dogmi: non spingersi oltre, non cogliere il frutto proibito, non porsi domande, accettare il dogma di fede. E’ la basilare forma di indottrinamento, che nelle religioni monoteistiche accompagna l’essere vivente dalla culla alla tomba. Ci viene insegnato a credere, e tutto i sistema si regge su questo. Proprio tutto? Secondo certe interpretazioni, alcune manipolazioni genetiche sarebbero avvenute in epoche assai remote, prima di 200.000 anni fa, e avrebbero portato alla nascita di alcuni ceppi del Sapiens. Secondo invece la tradizione misterica eleusina, sarebbe avvenuta una successiva manipolazione, ad opera dei Titani, attorno all’anno 80.000 avanti Cristo.

Molto plausibilmente, questa seconda manipolazione dette vita all’Uomo di Cro-Magnon, un ceppo del Sapiens particolarmente evoluto. E’ un enigma, per la storia, perché il Cro-Magnon nasce già avanzato, con elevatissime proprietà di linguaggio e con una struttura sociale organizzata, e si diffonde in buona parte dell’emisfero occidentale. La sua comparsa può aver turbato certi processi precedenti? Ha generato un’anomalia? Una falla, nella cosiddetta Matrix? Secondo determinate teorie, il Cro-Magnon sarebbe l’Uomo di Atlantide: proprio quella particolare umanità che gli Dei Titani avrebbero creato a loro immagine e somiglianza, e che avrebbe generato una propria civiltà in quello che era un grande continente, oggi scomparso, nell’Altantico settentrionale.

Doveva essere un continente che poi sarebbe stato distrutto nell’ambito di una grande guerra, che ci viene descritta nella “Teogonia” di Esiodo come la Titanomachia, una guerra combattuta fra Dei. Secondo certi testi mitologici, questo cosiddetto Primo Impero di Atlantide avrebbe cessato il proprio percorso storico attorno al 19.000 avanti Cristo. Poi, la civiltà umana del Cro-Magnon sarebbe risorta dalle proprie ceneri (dalle palafitte, dalle caverne) fino a tornare grande, organizzata e civile, e a conquistare vastissimi territori, incluso il bacino mediterraneo, il Medio Oriente, buona parte dell’Africa e le Americhe. Sempre secondo alcune interpretazioni, questa particolare parte di umanità avrebbe dato molto fastidio, a certi gestori della Matrix. Lo so, sembra di sconfinare nella fantascienza. E sia: facciamo finta che sia fantascienza. Dunque, immaginiamo che questo sia vero, e che tanti altri ceppi umani siano frutto di una manipolazione finalizzata esclusivamente all’assoggettamento e alla “domesticazione”, per diventare forza lavoro gratuita.

Tutto questo può aver fatto comodo, a certi schemi di potere che poi, di volta in volta, hanno dovuto ricorrere a forme manipolative. Come una sorta di “tagliando”: ogni tanto è stato necessario, nella storia, per certe élite di potere, ricorrere a ulteriori giri di vite, a ulteriori interventi manipolativi a livello concettuale, di dogma, di pensiero religioso, giusto per riportare questa umanità nei binari prestabiliti. Immaginiamo però che una parte di umanità sia sfuggita, a questa logica. Immaginiamo che abbia portato avanti una civiltà libera da questi schemi, libera da certi dogmi, e che questa parte di umanità sia sempre stata contrastata da certi poteri. Poi, la distruzione della Seconda Atlantide (fra il 10800 e il 9600 avanti Cristo, a causa di un cataclisma di origine cosmica) ha segnato di nuovo un duro colpo, per questa umanità.

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