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Sumeri, Fenici e Romani in America: la nostra vera storia

Articolo di Giorgio Cattaneo

https://www.libreidee.org/2021/05/sumeri-fenici-e-romani-in-america-la-nostra-vera-storia/

Chi siamo? Da dove veniamo? Dobbiamo imparare dai bambini: loro si chiedono sempre il perché di tutto. Io amo Platone, il suo metodo dialogico. Maieutica, in greco, significa ostetricia: farti nascere, stimolarti a trovare le risposte dentro di te. Nessuno di noi ha la verità in tasca, ma ognuno ha la capacità di arrivare a individuare una verità possibile. Il termine “verità” probabilmente è troppo grande, da usare. Però possiamo parlare di menzogna, questo sì. Da storico, ho sempre voluto indagare nei retroscena, della storia e della realtà che viviamo. E mi sono reso conto che tutto ciò che ci è stato insegnato è stato sempre finalizzato ad un solo obiettivo: il mantenimento dello status quo, il potere di chi comanda. Triste realtà: la storia la scrivono sempre i vincitori. I vinti, chiunque siano – i Troiani sconfitti dagli Achei, i Greci sconfitti dai Persiani, gli abitanti dell’Amazzonia sconfitti dalla deforestazione – non riescono mai a scriverla, la verità: vengono ridotti al silenzio. Sbagliatissimo: perché la ricostruzione del nostro passato riguarda tutti noi, sia i vincitori che i vinti, quelli che non hanno avuto la parola. E l’insegnamento della storia è sempre stato finalizzato a salvaguardare il potere di chi ha vinto.

Nicola Bizzi

Quante bugie ci hanno raccontato, a partire dalla preistoria? Come ci sono state raccontate, le origini dell’umanità? Quante mistificazioni sono state perpetrate? In materia di storia e archeologia, lo Smithsonian Institute è una delle principali istituzioni culturali degli Stati Uniti, dove gestisce decine di musei. Ebbene, di recente è stato condannato da un tribunale federale americano, dopo una serie di denunce, per aver deliberatamente distrutto – nel corso di svariati decenni – migliaia di reperti archeologici “scomodi”. Perché mai distruggere un reperto archeologico? Perché tutto quello che va a infrangere il paradigma dominante è tabù: è vietato. Quest’anno c’è stata una censura terribile, su Internet, che continua tuttora. Ora, abbiamo a che fare con una situazione particolare: e chi mi conosce sa bene che, da un anno, sto combattendo una battaglia per la verità. Perché ci stanno raccontando parecchie bugie, su tanti fronti. Bugie sempre finalizzate al potere, al controllo, al dominio sulle masse. E la censura, purtroppo, fa parte di questo gioco: come nei tempi antichi, e poi nel medioevo e oltre.

Giordano Bruno

Fino al Sei-Settecento è rimasta il vigore la cosiddetta Santa Inquisizione: se personaggi come Galileo se la sono cavata abiurando, altri – come Giordano Bruno – hanno pagato con la vita il loro impegno a sostenere delle verità che il potere pretendeva di negare, di nascondere. E’ bene studiare, quindi, la vera origine e il reale percorso delle grandi civiltà. Ma soprattutto, è importante capire perché ci hanno imposto dei dogmi. Come mai la storia è piena di dogmi? Vengono chiamati “paradigmi”, ma in realtà sono veri e propri dogmi di fede. Io mi sono poi laureato in storia, ma la mia grande passione è sempre stata l’archeologia. Eppure faticavo: già ai tempi dell’università io ragionavo con la mia testa, e mi scontravo con i docenti. Mi dicevano: guarda che queste cose non le puoi dire. Non mi hanno mai detto: le tue osservazioni sono sbagliate. Macché: implicitamente mi davano ragione; ma mi spiegavano che certe cose non le potevo dire, perché infrangevano il famoso paradigma. Si deve sempre diffidare di chi pretende di essere un dispensatore di verità, da accettare come dogmi di fede.

Si deve poter parlare di tutto: anche di Atlantide, e di altri continenti perduti. Perché mai, specie nella nostra civiltà occidentale, ci è sempre stato negato di conoscere un certo passato? Ho partecipato sul campo a tanti scavi archeologici (in Turchia, in Iran, in vari altri paesi) e conosco bene l’ambiente dell’archeologia. In effetti, tutto quello che non è coerente con i paradigmi vigenti, viene deliberatamente nascosto. Ci sono migliaia di reperti “scomodi” che sono stati distrutti. Ci sono siti “scomodi” che sono stati ricoperti e nascosti, addirittura vietandone l’accesso. E ci sono migliaia di reperti archeologici che vengono tuttora nascosti negli scantinati dei musei. E c’è un perché: danno fastidio. Potrebbero portare le persone a riflettere su altre sfaccettature della verità. Attraverso le civiltà antiche, ad esempio, si può arrivare a capire come si sono imposte le grandi religioni monoteistiche. Non voglio urtare la suscettibilità di nessuno, il mio atteggiamento è di grande rispetto; faccio però notare che Ebraismo, Cristianesimo e Islam hanno un comportamento dogmatico, esclusivistico.

Cavallo di Troia

Io parlo di tutto: anche di come un’antica civiltà, di impronta matriarcale (presente in Europa fino alla tarda Età del Bronzo), sia stata poi soppiantata da una nuova cultura, di tipo patriarcale, che ha stravolto completamente gli antichi schemi della società. Anche questo viene generalmente omesso, dalla storiografia: viene taciuto, perché “scomodo”. Ancora oggi, infatti, ci troviamo in una società patriarcale, e quindi è diventato scomodo (quasi eretico) parlare di quello che c’era prima, e spiegare perché l’antica società matriarcale sia stata sostituita con il modello patriarcale. La Guerra di Troia è stata una delle vicende più epocali della storia antica. Molti pensano che sia stata semplicemente una guerra commerciale, per il controllo del traffico marittimo tra l’Egeo e il Mar Nero. Niente di più falso: quella fu una guerra di religione, e di cultura. Fu veramente l’apice dello scontro fra matriarcato e patriarcato. La civiltà troiana era fondata sul matriarcato e sul culto delle antiche divinità, gli dèi Titani, mentre gli avversari incarnavano una società patriarcale e bellicosa. Gli Achei si scontrarono con Troia per eliminare una cultura avversa.

Il paradigma dominante deforma la storiografia anche riguardo al lungo arco del medioevo, a partire da quelle che sono state considerate eresie. Come mai il Cristianesimo ha considerato eretiche tante altre dottrine? Come mai è stata perseguitata quella che è stata chiamata stregoneria? Alludo a decine di migliaia di donne: non praticavano magia, non celebravano oscuri rituali; semplicemente, praticavano ancora un rapporto simbiotico con le forze della natura (come già le loro antenate, per millenni). Conoscevano le proprietà curative delle erbe, secondo una tradizione millenaria: perché sono state torturate e condannate al rogo come streghe? Bisogna riflettere, su tutti questi sconvolgenti aspetti del nostro passato: perché purtroppo non riusciremmo mai a comprenderlo a fondo, il presente che viviamo, e nemmeno il futuro che ci attende, se non conosciamo davvero il nostro passato, cioè tutti gli errori che abbiamo commesso, e soprattutto tutti gli inganni che ci hanno propinato.

Comalcalco

Vogliamo parlare di quella che è considerata la scoperta dell’America? Il mio ultimo libro si intitola “I Minoici in America e le memorie di una civiltà perduta”. A scuola ci hanno insegnato che l’America è stata scoperta da Cristoforo Colombo nel 1492. Una data simbolica, con la quale si vuole chiudere il medioevo e far iniziare l’età moderna. Ma poi, prove alla mano (dati archeologici), ci accorgiamo che in America ci sono andati tutti, prima di Colombo. Nel Gran Canyon del Colorado hanno trovato addirittura delle tombe egizie. Ovunque, in Brasile, le rocce sono piene di incisioni in lingua fenicia. Un manoscritto custodito nella biblioteca di Rio de Janeiro documenta il ritrovamento di un’antica città greca. Se andiamo in Messico, nel sito di Comalcalco (nella regione del Chiapas), sembra di essere a Ostia antica: è l’unica città dell’area Maya non edificata con pietre, ma con mattoni, secondo le tecniche edilizie romane. Mattoni con impressi i marchi dei fabbricanti, come usavano i costruttori romani (ci sono pure i loro nomi, infatti).

Sempre in Messico sono state trovate delle teste di terracotta prettamente romane. Monete romane sono state trovate ovunque, nel territorio americano. Addirittura, un capo indiano dell’importante tribù dei Nasi Forati, sconfitto nel 1878 dal neonato esercito degli Stati Uniti, prima di essere costretto a trasferirsi in una riserva insieme al suo popolo, volle donare un omaggio al generale che l’aveva battuto sul campo: era il ciondolo che portava al collo, con – incastonata – una tavoletta in terracotta di origine sumera, scritta in caratteri cuneiformi. La sua tribù se l’era tramandata, di generazione in generazione, da millenni. Questa tavoletta – oggi esposta in un museo, in America – è stata tradotta. E’ una banalissima tavoletta d’archivio, che contiene una transazione commerciale: è la ricevuta d’acquisto di alcune capre, comprate per compiere un sacrificio propiziatorio alla vigilia di un lungo viaggio. Quindi, qualcuno – in Mesopotamia – ha comprato delle capre e le ha sacrificate, forse per propiziare la fortuna in vista del lungo viaggio che stava per intraprendere; ma questo viaggio l’ha portato dall’altra parte dell’Oceano, insieme alla ricevuta d’acquisto delle capre: quella tavoletta è finita in America.

Le incisioni fenicie di João Pessoa in Brasile

In Bolivia, negli anni ‘80, è stato scoperto un grande vaso rituale in pietra, per libagioni e offerte votive, che al proprio interno ha iscrizioni in sumero: cuneiforme sumerico, come quello della tavoletta del navigatore. Gli esempi analoghi sono centinaia. In Canada, ad esempio, è pieno di iscrizioni celtiche. Poi sappiamo – perché è documentato – di una flotta salpata da Portovenere, vicino a La Spezia, nel 1442: una flotta di navi fiorentine, comandata da Amerigo Vespucci (non quello che conosciamo: era suo nonno, e anche lui si chiamava Amerigo). Il 4 luglio di quell’anno, questa flotta arrivò all’estuario del fiume San Lorenzo, sulla costa atlantica del Canada, cinquant’anni prima del viaggio di Colombo. Di queste cose non troverete notizia, nei libri di storia, perché l’America era uno dei massimi segreti di Stato della famiglia  Medici, che a Firenze iniziarono a importare l’oro americano: erano bravi banchieri, sapevano il fatto loro. Io ho trovato le prove di quel viaggio, e anche i nomi delle navi (che erano sette) e dei loro comandanti. La data di arrivo è stata tramandata, dai padri costituenti degli Stati Uniti: la festività del 4 Luglio non l’hanno creata a caso, ma in ricordo dell’arrivo delle navi fiorentine in America.

(Nicola Bizzi, dichiarazioni rilasciate nella video-conferenza “Ripensare la storia”, su YouTube il 1° aprile 2021, a cura della Libera Università di Nuova Pedagogia, presso cui lo stesso Bizzi, storico e editore di Aurora Boreale, terrà un corso on line di storia “divergente”, dal titolo “Ripensare la storia: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo”. Un ciclo di 15 incontri per riflettere e per comprendere le nostre origini e il nostro ruolo su questo pianeta, immaginando anche il futuro che ci attende. Per informazioni sulle modalità di partecipazione al corso, basta inviare un’mail a: nuovapedagogia@gmail.com).

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I Minoici in America: come occultare Atlantide e i Titani

Articolo di Giorgio Cattaneo

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E se tutto questo improvviso agitarsi attorno all’ultimo tabù, quello degli Ufo, nascondesse anche la paura per qualcosa che potrebbe accadere nel 2024, con l’ingresso di Plutone in Acquario, che per gli astrologi significa “rivoluzione”, cambio di passo epocale per il pianeta? Non è che i protagonisti dell’attuale ultimo show, la cosiddetta “disclosure aliena” (perfetta per archiviare l’altro spettacolo planetario, quello del Covid) hanno il fondato timore che, esattamente fra tre anni, lo spazio possa riservare sorprese indesiderabili, per gli odierni dominatori della Terra? Ragionando ad alta voce a “L’Orizzonte degli Eventi“, sul canale YouTube di “Border Nights”, Nicola Bizzi la butta lì: c’è chi pensa sia possibile che, proprio nel 2024, tornino dalle nostre parti quelli che la tradizione mitologica ha chiamato Titani. Ovvero: “divinità” che sarebbero approdate 90.000 anni fa alle nostre latitudini, provenienti dal sistema solare di Tau-Ceti.

Statua marittima di Poseidone alle Canarie

Ne parla Esiodo nella Titanomachia racchiusa nella Teogonia: i Titani sarebbero stati sfrattati 20.000 anni fa dopo aver perso una “grande guerra cosmica” con altre entità, che poi si sarebbero fatte conoscere come dèi olimpici nell’Ellade, e con nomi diversi in altri continenti. E perché mai sarebbero così importanti, i Titani come Prometeo, Atlante e Poseidone? Perché sarebbero stati i nostri “padri”, nientemeno: i discendenti di Giapeto ci avrebbero “fabbricati” geneticamente 80.000 anni fa, dando origine all’Uomo di Cro-Magnon, nei territori – non ancora sommersi e non ancora frazionati in arcipelago – del più mitico dei continenti scomparsi: Atlantide. Un’area vastissima, probabilmente estesa dalle Azzorre alle Svalbard, con le sue propaggini orientali non distanti da Gibilterra. Era comodo, il “continente perduto”, per raggiungere sia l’America che il Mediterraneo.

Bene, e chi lo dice? Chi la racconta, questa storia? Platone, innanzitutto: nel Crizia, soprattutto nel Timeo e poi forse anche nell’Ermocrate, altro dialogo del sommo filosofo greco (andato smarrito o addirittura mai scritto, solo pensato). Però l’esistenza di Atlantide la davano per scontata anche autori come Tucidide e Tertulliano, Diodoro Siculo, Strabone, Plinio il Vecchio, Seneca: per loro era storia, non leggenda. Lo ricorda lo stesso Bizzi, nel monumentale saggio “I Minoici in America”, che ripercorre “le memorie di una civiltà perduta”. Dettaglio: anche tramite Solone, suo avo, Platone attinge le sue informazioni dall’Egitto, dove i sacerdoti avrebbero conservato il ricordo ancestrale dei primissimi colonizzatori venuti dal mare: la Stirpe del Leone, che avrebbe disseminato le rive del Nilo di piramidi e sfingi dalla testa leonina.

Labrys

Se l’origine “titanica” dell’umanità occidentale è una radicata convinzione della tradizione misterica eleusina, non suffragata però da documenti originali e fonti dell’epoca, Nicola Bizzi – con lo sguardo dello storico, monitorando attentamente l’archeologia – dimostra il clamoroso oscuramento, più che sospetto, della maggiore civiltà mediterranea che gli eleusini considerano di origine “atlantidea”: l’Impero Minoico di Creta. La tesi esposta: i “popoli del mare” risalenti a quel tempo (lelegi, pelasgi, egei e, infine, cretesi e troiani) restano “scomodi”, da studiare; si tende a sminuirne il ruolo, proprio per non dover approfondire la loro provenienza. Da dove venivano, le genti che seppero erigere i palazzi di Festo e Cnosso millenni prima dell’età greca?

Erano provetti navigatori, presenti in Egitto ben prima dei faraoni. Guerrieri, mercanti, formidabili architetti. Una civiltà stranamente avanzata, in possesso di una lingua come il Lineare A. La progenie dei Minosse si era espansa in tutto il Mare Nostrum, fino all’Anatolia e al Mar Nero, anche se si stenta sempre a evidenziare le sue tracce. Mezza Europa, poi – dalla Sardegna alle Isole Britanniche – mostra i segni di una cultura affine, megalitica, che “specchia il cielo con le pietre” riproducendo costellazioni, esattamente come poi faranno le culture precolombiane dell’America centro-meridionale. C’era un mondo molto più vasto, nel 3000 avanti Cristo, di quello che la storiografia ufficiale (sempre più spiazzata dai ritrovamenti recenti, come quello di Göbekli Tepe in Turchia) sia tuttora disposta a riconoscere? C’era stato un Grande Prima, che poi è stato meticolosamente occultato fino ai nostri giorni?

Atlantide ricostruzione cartografica

Purtroppo, premette Bizzi, l’archeologia resta ingessata nelle sue ataviche pigrizie: continua a non ammettere (con un atteggiamento ben poco scientifico) la necessità di incrociare i propri dati con quelli di altre discipline. Per esempio: solo nel 2014, i geofisici hanno finito di capire che la Terra è stata terremotata da un doppio schianto apocalittico, di origine cometaria: la prima onda d’urto nel 10800, la seconda nel 9600 avanti Cristo. Il che – annota lo storico – corrisponde con la datazione (tradizionale, eleusina) dell’inabissamento di Atlantide. Una sorta di spaventoso Grande Reset, dal quale quella civiltà sarebbe poi risorta – dopo il “diluvio” – arrivando a rifiorire nel Mediterraneo fino all’altro cataclisma, l’esplosione del vulcano Santorini (attorno al 1600) che decretò il declino irreversibile dei Minoici, la cui ultima battaglia – la Guerra di Troia, che Omero narra nell’Iliade – verso il 1250 avrebbe messo fine all’ultimo capitolo dei popoli di origine “titanica”, non indoeuropea.

In realtà, alle fonti eleusine è dedicato solo l’ultimo capitolo de “I Minoici in America”, in cui Bizzi esibisce inediti documenti custoditi dai discendenti italiani di quella corrente culturale, che si vuole originata dall’apparizione a Eleusi (alle porte di Atene) della dea Demetra: nel 1216, caduta Troia, la dea avrebbe rivelato alla comunità eleusina (di origine minoica) la sua vera storia, preannunciando un lunghissimo esilio, le persecuzioni in arrivo (puntualmente verificatesi, da Teodosio in poi) e infine un ritorno, da parte delle divinità “titaniche”. Chi è appassionato ai risvolti meta-storici, spesso classificati come mitologici, noterà certe ricorrenti ridondanze: per gli eleusini, Demetra veniva da Enna, in Sicilia, mentre Virgilio (nell’Eneide) affiderà al troiano Enea il ruolo di fondatore di Roma. La radice “En”, avverte Bizzi, significa “inizio”. E proprio En’n era il nome dell’isola maggiore del leggendario arcipelago perduto nell’Atlantico.

I Minoici in America

Loro, gli Ennosigei, avrebbero egemonizzato le Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente: da un loro geroglifico (”Hath-Lan-Thiv-Jhea”) il nome Atlantide, che in antico suonerebbe “la Grande Madre venuta dal mare”, a sottolineare l’impostazione matriarcale delle origini. Per gli Eleusini, dice Bizzi, non è un caso che – sconfitti i Titani – le nuove divinità “usurpatrici” abbiano imposto culti dogmatici e schemi sociali basati sul potere patriarcale. Sempre secondo l’autore, il corpus sapienziale eleusino (il Tesoro del Tempio e gli Hierà) riuscì a sopravvivere in clandestinità grazie a Nestorio il Grande, leggendario Pritan degli Hierofanti eleusini, che lo fece sparire prima che a Eleusi facessero irruzione i Goti di Alarico, inviati dai vescovi cristiani: volevano mettere le mani su tutti quei rotoli. Come se il culto “titanico” dovesse sparire dalla scena, per cancellare la memoria dell’imbarazzante origine atlantica? Operazione riuscita solo a metà, se è vero che l’ombra di Eleusi – mille anni dopo – riuscì ad allungarsi sul Rinascimento italiano, ispirando svariate signorie a cominciare da quella medicea.

Va però precisato che “I Minoici in America” non è un libro a tesi: attraverso 600 pagine di trattazione documentata, densa di citazioni puntualissime e corroborata da una bibliografia scientifica imponente, Nicola Bizzi si concentra soprattutto sugli studi dei ricercatori di oggi, pronti a denunciare le falle più vistose dell’archeologia ufficiale. Si mettono così a nudo le lacune e le contraddizioni di una narrazione che sembra voler parlare il meno possibile di Creta e dei suoi regnanti, delle loro fondamentali conquiste agevolate dalle superiori conoscenze di cui erano in possesso. Una su tutte – quella metallurgica – avrebbe permesso al Mediterraneo di entrare nell’Età del Bronzo, attingendo di colpo a un’enorme quantità di rame, ben superiore a quella disponibile a Cipro.

Isle Royale Michigan

«E’ stato stimato che oltre un milione di tonnellate di rame sia stato estratto, da ignoti minatori e per un periodo continuativo di circa mille anni, in migliaia di pozzi e gallerie sull’Isle Royale e sulla penisola Keweemaw, nello Stato americano del Michigan, nella zona dei Grandi Laghi al confine con il Canada». Lo si legge nell’incipit del capitolo “Le miniere minoiche del Michigan”: la datazione al radiocarbonio dei resti delle travi di legno utilizzate nelle gallerie risale fino al 3700 avanti Cristo. Secondo punto: per l’odierna mineralogia, che consente di determinare il “Dna” dei metalli e dunque la loro provenienza, il rame di Creta corrisponde esattamente a quello del Michigan. Terzo punto: come si naviga (a vela e a remi) dall’Egeo al Lago Superiore? Lo spiegano benissimo i tanti navigatori, antichi e poi medievali, che dall’America andavano e venivano tramandandosi rotte segrete e gelosamente custodite, dai tempi dei fenici e, prima ancora, dell’Impero dei Minosse.

Dopo “Da Eleusi a Firenze” (e in attesa del sequel “Da Eleusi a Washington”), chi apprezza le indagini di Bizzi non potrà che trovare appagante l’immersione tra le pagine di quest’ultimo prezioso lavoro, capace di incrociare dati ufficiali, riscontri mitologici e testimonianze archeologiche “scomode”, lungo una narrazione sempre avvincente e scorrevole malgrado l’abbondanza di note, citazioni e riferimenti bibliografici estremamente accurati,  classici e contemporanei. L’impressione è quella di percorrere una storia parallela, i cui punti cardinali coincidono con quelli convenzionali, facendogli però cambiare segno: come se davvero una specie di grande segreto proteggesse scoperte scoraggiate in ogni modo, dalle navi minoiche cariche di lingotti, rinvenute nei nostri fondali, alle città (greche) localizzate nella selva amazzonica da esploratori coraggiosi, poi spariti nel nulla. Non c’è bisogno di fantasticare sugli eventuali Ufo “titanici” del 2024, per interrogarsi sulla domanda di fondo a cui Bizzi prova a rispondere: perché tanto accanimento, nel secolare “cover up” archeologico sui Minoici?

(Il libro: Nicola Bizzi, “I Minoici in America e le memorie di una civiltà perduta“, Edizioni Aurora Boreale, 616 pagine, 30 euro).