Un’Ode Alchemica di Fra Marcantonio Crasellame Chinese – Arturo Reghini – E-book

4.89

Uscito nel 1925 sulla rivista Ignis e firmato con lo pseudonimo di Maximus, Un’Ode Alchemica di Fra Marcantonio Crasellame Chinese di Arturo Reghini è uno studio interpretativo di uno dei più noti testi alchemici del XVII° secolo. Un testo che è stato, fra quelli italiani in materia, probabilmente il più largamente citato e tradotto negli ultimi quattro secoli.

La Lux Obnubilata suapte natura refulgens. Vera de Lapide Philosophico Theorica, metro italico descripta, et ab auctore innominato Commenti gratia ampliata (questo è il suo titolo completo) vide la luce nel 1666 a Venezia, per i tipi di Alessandro Zatta. Si tratta di un’ode a soggetto alchemico in lingua Italiana, composta da tre “canzoni”, preceduta da una prefazione in Latino e seguita da un proemio e poi da un commento.

Come rilevava Reghini nel suo studio, «prefazione, proemio e commento, tutti in Latino, sono opera di un ignoto commentatore» e dal sottotitolo premesso alla “Canzone Prima” risulta che autore delle tre “canzoni” costituenti l’OdeAlchemica sia un poeta alchimista che si nasconde, «secondo il costume dei Filosofi», sotto lo pseudonimo – in questo caso, più propriamente, uno ieronimo e al contempo un anagramma – di Fra Marcantonio Crassellame Chinese.

L’opera venne a lungo attribuita a Otto Tachenius, un medico, farmacista e alchimista tedesco del XVII° secolo che, laureatosi a Padova nel 1644, esercitò a lungo la Medicina a Venezia, dove pubblicò nel 1666 (lo stesso anno della pubblicazione della Lux Obnubilata) il suo primo trattato, lo Hippocrates Chymicus. Reghini aveva però perfettamente intuito che l’Ode Alchemica non potesse, per varie e fondate ragioni, essere attribuita a Otto Tachenius, ma ancora – nel 1925, quando egli scriveva il suo breve saggio – non vi era, fra gli studiosi, una piena certezza sulla reale identità del suo autore.

Il merito di aver identificato per primo l’autentica paternità dell’Ode spetta a Pericle Maruzzi (1887-1966), il più grande storico che la Massoneria italiana abbia annoverato tra le sue fila, autore di numerose di opere che ancora oggi rappresentano pietre miliari ed una risorsa fondamentale e insostituibile per le nuove generazioni di studiosi. Maruzzi dimostrò, infatti, in un suo articolo del 1956 che riportiamo in appendice alla presente edizione, che questo straordinario testo alchemico venne scritto dal Marchese Francesco Maria Santinelli, un nobile ed iniziato pesarese, poeta e cultore di Alchimia molto vicino alla Regina Cristina di Svezia.

Descrizione

Uscito nel 1925 sulla rivista Ignis e firmato con lo pseudonimo di Maximus, Un’Ode Alchemica di Fra Marcantonio Crasellame Chinese di Arturo Reghini è uno studio interpretativo di uno dei più noti testi alchemici del XVII° secolo. Un testo che è stato, fra quelli italiani in materia, probabilmente il più largamente citato e tradotto negli ultimi quattro secoli.

La Lux Obnubilata suapte natura refulgens. Vera de Lapide Philosophico Theorica, metro italico descripta, et ab auctore innominato Commenti gratia ampliata (questo è il suo titolo completo) vide la luce nel 1666 a Venezia, per i tipi di Alessandro Zatta. Si tratta di un’ode a soggetto alchemico in lingua Italiana, composta da tre “canzoni”, preceduta da una prefazione in Latino e seguita da un proemio e poi da un commento.

Come rilevava Reghini nel suo studio, «prefazione, proemio e commento, tutti in Latino, sono opera di un ignoto commentatore» e dal sottotitolo premesso alla “Canzone Prima” risulta che autore delle tre “canzoni” costituenti l’OdeAlchemica sia un poeta alchimista che si nasconde, «secondo il costume dei Filosofi», sotto lo pseudonimo – in questo caso, più propriamente, uno ieronimo e al contempo un anagramma – di Fra Marcantonio Crassellame Chinese.

L’opera venne a lungo attribuita a Otto Tachenius, un medico, farmacista e alchimista tedesco del XVII° secolo che, laureatosi a Padova nel 1644, esercitò a lungo la Medicina a Venezia, dove pubblicò nel 1666 (lo stesso anno della pubblicazione della Lux Obnubilata) il suo primo trattato, lo Hippocrates Chymicus. Reghini aveva però perfettamente intuito che l’Ode Alchemica non potesse, per varie e fondate ragioni, essere attribuita a Otto Tachenius, ma ancora – nel 1925, quando egli scriveva il suo breve saggio – non vi era, fra gli studiosi, una piena certezza sulla reale identità del suo autore.

Il merito di aver identificato per primo l’autentica paternità dell’Ode spetta a Pericle Maruzzi (1887-1966), il più grande storico che la Massoneria italiana abbia annoverato tra le sue fila, autore di numerose di opere che ancora oggi rappresentano pietre miliari ed una risorsa fondamentale e insostituibile per le nuove generazioni di studiosi. Maruzzi dimostrò, infatti, in un suo articolo del 1956 che riportiamo in appendice alla presente edizione, che questo straordinario testo alchemico venne scritto dal Marchese Francesco Maria Santinelli, un nobile ed iniziato pesarese, poeta e cultore di Alchimia molto vicino alla Regina Cristina di Svezia.

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